Il raggiungimento dei traguardi green per il clima ha indotto l’Unione Europea a introdurre nuove normative in merito ai motori a combustione che saranno banditi dall’eurozona a partire dal 2035,ciao a introdotto normative volte a favorire l’utilizzo e l’acquisto dei motori elettrici. Ma cosa si potrebbe rischiare vista la grande rivoluzione dei tech dell’inizio del nuovo millennio? Sicuramente una penetrazione economica del mercato libero da parte del Dragone.
E così dal 2017 la Cina ha quintuplicato l’importazione delle sue automobili passando da 100.000 unità a quasi mezzo milione. Non bastano gli sforzi da parte dell’Unione Europea per ridurre la dipendenza economica da Pechino, l’introduzione dei dazi anti dumping, prima per i pannelli solari, poi anche per le e-bike e per il materiale utile alle telecomunicazioni, non hanno frenato la corsa ai motori ai tech del colosso cinese.
Il Dragone conquista il settore automotive: la Cina quintuplica le esportazioni
In pochissimi mesi, tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 la Cina è diventata il primo esportatore di automobili al mondo, sto passando il Giappone e la Germania che hanno visto un sensibile calo delle loro esportazioni. La crisi del mercato automotive dipende prevalentemente da questo dato e non tanto dalla domanda interna che pure è stata ridotta visto che il mercato europeo è stato drogato dai motori elettrici del dragone che è diventato in pochissimo tempo leader globale: sei delle dieci principali aziende produttrici di batterie elettriche sono cinesi, con due produttori la cattle e la bid che rappresentano oltre la metà del mercato globale. Non sorprende che più di un terzo di tutte le esportazioni mondiali di veicoli elettrici siano imputabili alla Cina. Questa percentuale sale al 55% se si considerano anche le importazioni europee di full electric dalla Cina.
La produzione cinese primeggia anche per quanto concerne i motori Tesla del patron Elon Musk che, nella sua fabbrica di Shanghai ha prodotto oltre 1,25 milioni di automobile. Se dunque la Cina è il maggior produttore di veicoli elettrici, l’invasione in Europa degli stessi è trainata dagli stessi colossi occidentali che dirottano la produzione verso paesi dove il costo del lavoro è più basso. Infatti i veicoli cinesi in Europa toccano una quota inferiore al 5%, anche se questo dato è considerato in crescita nei prossimi anni complice il vantaggio di prezzo: un’auto elettrica cinese può costare anche il 30% in meno rispetto a quella di un concorrente europeo.
Il Dragone conquista il settore automotive: i prodotti cinesi costano il 30% in meno
Poi c’è la questione autarchica: se i colossi occidentali hanno bisogno di assemblare parti acquistate in centri di produzione e differenti, non ultimo la produzione dei chip di Taiwan, la Cina produce tutto autonomamente per quasi tutte le componenti che sono nell’auto. È stato questo il punto di vantaggio che ha già avvantaggiato il dragone terrier esportazione delle e-bike che hanno messo subito in allarme La Commissione Europea che, dal 2021 a promosso i dazi antidumping, o come quelli promossi nel 2013 per i pannelli solari provenienti dalla Cina e per le apparecchiature per le telecomunicazioni.
Ma al di là di questo la penetrazione della produzione cinese all’interno dell’Europa è passata per lo più in sordina e oggi coinvolge anche la produzione di materiali per le reti 5 G nazionali che sono cinesi per oltre il 30% il 18 paesi europei. Questo potrebbe addirittura costringere l’Europa a condividere con Pechino dati europei sensibili e, per frenare questa possibilità, la Commissione Europea nel 2020 ha concordato un pacchetto di strumenti sulla sicurezza delle reti 5G il cosiddetto 5G Security toolbox volto limitare o escludere le aziende cinesi da tutte le infrastrutture europee per 27 stati membri. Ma di tutti i paesi facenti parte dell’Unione Europea soltanto dieci hanno deciso di implementare il pacchetto nella legislazione nazionale.
Ma per quanto concerne il settore delle automotive, secondo uno studio condotto da Allianz, se i trend dovessero confermarsi anche per gli anni successivi, la penetrazione dei prodotti cinesi in Europa comporterà un calo di 24 miliardi di euro nel valore aggiunto generato dal settore europeo.