Credo ci voglia coraggio ad affrontare da adulti i traumi subiti nell’infanzia. Guardarli in faccia senza fare sconti a se stessi e alla propria storia. Affrontare un percorso doloroso che non sai bene dove ti porta. Questo se lo fai in privato, nelle pieghe della tua anima. Figuriamoci se il percorso lo rendi pubblico, se ti metti a nudo di fronte a migliaia di lettori. E così è stato per Maria Grazia Calandrone, autrice del libro Dove non mi hai portata (Einaudi), finalista del Premio Strega 2023.
Ne ho ascoltato la versione audio, nel podcast di RaiPlay Sound “Mia madre, un caso di cronaca”, letto dalla Calandrone stessa. E sono rimasto colpito. La storia sembra la sceneggiatura di un film, e invece è del tutto reale: una bambina abbandonata sui prati di Villa Borghese a Roma all’inizio dell’estate del 1965 nell’inconsapevolezza dei suoi 8 mesi, adottata e amata da una coppia romana che favorisce le condizioni perché lei diventi ciò che è oggi, una poetessa e scrittrice che ad un certo punto della vita si mette sulle tracce della madre naturale e fa della sua ricerca un libro che scrive di getto.
Ciò che ne esce è una storia commovente dove si mischiano disperazione, miseria, libertà ma soprattutto amore, tanto amore, quell’amore indissolubile di una madre per una figlia e di una figlia per una madre che non ha mai conosciuto. È attraverso le pagine di questo libro, nella determinazione da detective necessaria a portare a galla una vicenda sepolta dal tempo che quando accadde destò clamore per poi scivolare nell’anonimato con il passare degli anni, che Maria Grazia ricostruisce la breve esistenza di Lucia, la sua mamma naturale, che la sua vita l’ha sacrificata in un gesto insieme tragico e plateale compiuto soffrendo la terribile angoscia di abbandonare un inconsapevole fagottino di 8 mesi alla mercé di qualunque cosa possa capitare, ma con nel cuore la speranza e la preghiera che a quel fagottino innocente possa pensarci Lei, la mamma di tutti, quella Madonna cui tanti genitori affidano ogni giorno i loro figli.
Il libro di Maria Grazia Calandrone è anche un potente affresco sull’Italia degli anni 60, un mondo che osservato oggi sembra lontano secoli. Un’Italia lanciata alla rincorsa di un boom economico e che sprizzava energie positive ma nella quale la crescita vertiginosa del Pil non era affiancata da un altrettanto veloce cambiamento sociale e culturale e dove usi, costumi, tradizioni, leggi non riuscivano più a tenere insieme un mondo al galoppo. Come un adolescente che cresca in fretta e che sia costretto ad indossare abiti ogni giorno più corti e stretti. Un’Italia dove Lucia, che partorisce una figlia al di fuori dal matrimonio, se la vede letteralmente strappare di mano da medici e infermieri perché illegittima e ci metterà settimane per poterla riabbracciare. Ciò che non è cambiato in sessant’anni è l’amore delle mamme, di quelle mamme che ogni giorno compiono sacrifici per i loro figli, siano quelle che scappano dal Sahel nei tragici viaggi della speranza o quelle che si alzano alle 6 del mattino per prendere un treno di pendolari e sfiorano con un bacio i loro fagottini addormentati.
E in fondo quel gesto di Lucia di non portare con sé Maria Grazia nel luogo tragico cui si era incamminata per porre fine alla sua vita (“Dove non mi hai portata” appunto) è l’atto simbolico dell’amore di tutte le mamme del mondo.
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