Nella giornata del 10 agosto verrà diffuso il dato tendenziale annuo dell’inflazione Usa riferito al mese di luglio. Nel presente intervento si stima un tasso del 3,6% in sensibile crescita rispetto al 3% di giugno con un valore minimo dell’intervallo al 3,3%; si stimano pressioni di accrescimento mensili dello 0,6% in quanto la dinamica dei prezzi del petrolio in luglio non solo stabilmente si è situata sopra i 70 dollari al barile Wti, ma soprattutto dopo la prima decade, è iniziata una progressione costante del prezzo che nella giornata del 24 luglio già riacciuffava i 79,30 dollari al barile, quindi di fatto gli 80 dollari. Con tali valori dei prezzi di questa risorsa energetica, tutti i settori produttivi e di consumo vengono investiti in sequenza e a cascata da tali pressioni aumentative; tutto ciò è ben conosciuto sia dalla Fed che dalla Casa Bianca; cerchiamo pertanto di ipotizzare degli scenari verosimili.
I mercati, dopo la riunione Fomc della Fed de 25 e 26 luglio, hanno avuto la conferma dell’attesa di una piccola limatura al rialzo di 25 punti base dei tassi di interesse, avendo così ora i tassi dei Federal funds nella forchetta 5,25-5,50 ; sono andate vane invece le aspettative dei mercati di una fine certa degli innalzamenti nel corso del 2023; il Fomc della Fed preferisce restare alla finestra e osservare ciò che accade all’economia reale, senza impegnarsi in vincoli di comportamento che potrebbero poi non essere mantenuti. Ma queste azioni – come da sempre nei miei interventi precedenti sottolineato – sono state implementate facendo i conti senza l’oste, e l’oste del nostro scenario è il petrolio.
Ritorno dunque a una mia impostazione di fondo, e cioè che alla Fed si comportino, o meglio, tentano di farlo, come se tutte le leve economiche e logistiche fossero nel controllo della Casa Bianca; anzi, se devo essere più preciso, credo che alla Fed venga “richiesto” di fare affidamento sulle evoluzioni degli scenari internazionali auspicati dalla Casa Bianca e dai Dipartimenti interessati, ma che al contrario i veri economisti di formazione all’interno dell’istituto centrale nutrano seri scetticismi su tale impostazione a oltranza, e infatti non impegnarsi in politiche monetarie costanti, ma osservare ciò che accade volta per volta, denota incertezza e questa incertezza viene captata e valutata dagli operatori; in poche parole, il vantaggio di una maggiore flessibilità di azione porta con sé il costo di una perdita di credibilità.<
Quindi, siamo in procinto di osservare una nuova e rinnovata illusione scenica: inflazione tendenziale che risale bruscamente e il balletto dei tassi che la dovrebbe arginare, mentre siamo in frangenti tali che una politica dei tassi che divenisse sempre più restrittiva non sarebbe in grado di risolvere alla radice i problemi e ne amplifica anzi degli altri in altri aspetti del funzionamento macroeconomico.
Insomma, alla Casa Bianca prigionieri del mito dell’assoluta efficacia delle azioni di politica internazionale della nazione, mentre oramai occhi che vogliono vedere la realtà delle cose in maniera disincantata si rendono conto al contrario che gli Usa non hanno per nulla il controllo efficace della disponibilità e delle dinamiche di prezzo del petrolio.
Tutto questo causa enormi problemi alla Fed che, come già riportato in altre occasioni, spaccia interventi di politica valutaria per politiche monetarie ordinarie, quando tutto questo diventa palesemente sempre più falso; inoltre, più è evidente la non linearità degli interventi, più il presidente Powell e lo Fomc – come prima evidenziato – perdono credibilità; cioè a dirsi, in queste condizioni di tensioni geopolitiche, l’arma dei tassi serve a rafforzare solamente il dollaro americano, e per tale verso rendere meno care le importazioni di materie prime, tra cui la fondamentale che è il petrolio, e mitigare all’interno il processo inflazionistico.
Purtroppo, questo schema di comportamento non solo è di breve periodo, ma è già stato sfruttato nell’ultimo anno trascorso, con la Casa Bianca e il segretario al Tesoro Yellen che tentavano di condizionare le dinamiche produttive e di prezzo del petrolio in giro per il mondo; e infatti chi non ricorda i viaggi di Biden nel Medio Oriente e la costruzione – fallita e sempre abbondantemente prevista in queste analisi – dello schema di price cap? A tutto questo si aggiungeva la regia guidata, tramite tante agenzie di informazione finanziaria e istituti finanziari stessi, a stelle e strisce, e di dimensioni mondiali, di influenzare sui mercati economici e finanziari di mezzo mondo un percorso al ribasso del prezzo del petrolio.
Tutto finito, perché tutto di breve periodo, e se nel medio periodo non hai le leve effettive per controllare i fenomeni, sono i fenomeni a entrare in modo incontrollabile nei tuoi schemi politici e finanziari. Questo sta accadendo in questo momento negli Usa, e cioè che la prima economia del mondo per dimensioni e qualità dei beni e servizi prodotti, non controlla più a suo piacimento la catena di fornitura globale delle materie prime dei semilavorati. Anzi, si deve dire con più precisione che non ha il controllo dei Paesi dove tutto ciò avviene, e gli esempi iconici sono ovviamente sempre Cina e Russia.
Contemporaneamente, sotto la distorsione di una liquidità ancora monstre pari ai 9.000 miliardi circa del passivo della Fed, il Dow Jones ha ridrizzato la schiena portandosi a 35.500 punti circa e quindi vicinissimo al record storico di 36.400 punti, ottenuto comunque dopo gli anni 2008 delle crisi finanziarie e quindi a valori sempre gonfiati. Ma ora, se si corre troppo, ognuno credendo di vedere un mondo che non esiste, alla fine gli indici finanziari diventeranno numeri senza più senso alcuno, e quindi per evitare questa trappola ci vuole una gestione seria e ponderata degli eventi.
Io, per mio convincimento personale, credo che alla Fed ci sia molta razionalità e prudenza, dando per tale verso – come alla nostra Banca d’Italia – lustro e credibilità alla sua azione, mentre al contrario alla Casa Bianca e ai suoi dipartimenti, così come in tanta aliquota parlamentare del Congresso, credo che ci sia una profonda irrazionalità in merito agli eventi che stanno accadendo. Del resto, a riprova di quello che affermo, personalmente non ho proprio nessuna previsione possibile della dinamica del prezzo del petrolio sui mercati mondiali, in quanto è divenuto uno strumento di contesa geopolitica. Mi sento solo di affermare che il petrolio sotto i 70 dollari al barile Wti in maniera standard e duratura non lo vedremo più.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.