Nel 1964 Ernesto Olivero ha fondato il Sermig (Servizio Missionario Giovani) e quarant’anni fa l’Arsenale della Pace. “Ultimo di undici figli, la mia era una famiglia povera ma dignitosa: papà lavorava all’ufficio del registro e il suo era l’unico stipendio di casa. Una infanzia felice, nonostante i miei clamorosi insuccessi scolastici. Sono stato rimandato e bocciato diverse volte. Un giorno i miei fratelli sono andati in delegazione da mamma a lamentarsi che io ero l’asino di casa, ma lei rispose: “State tranquilli, Ernesto farà altro nella vita!”. Mamma e papà sono mancati a distanza di neanche un anno, io avevo 20 anni”, racconta al Corriere della Sera.
Nato a Salerno, Olivero arrivò giovanissimo a Torino: “Con la mia famiglia siamo emigrati al Nord nel 1949. Quando siamo scesi dal treno faceva freddo, non eravamo abituati al clima di qui. A Chieri ho avuto un impatto molto duro: se a Salerno mi chiamavano “il piemontese” perché papà era di Boves, in Piemonte mi chiamavano “il terrone”. Ho fatto a pugni diverse volte, ne ho prese ma ne ho date tante. È nata in quegli anni l’amicizia con Carlo Maria Martini, allora giovane prete. Per un periodo ho lavorato nel Mulino Chierese che era stato acquistato dal partito comunista di Bologna. Parlavo a tutti di Dio, poi un giorno venne il direttore e mi dissero: “Olivero, ci converta pure tutti ma la prego lasci stare il direttore, altrimenti che figura ci facciamo?”. Poi è arrivata la proposta della Banca San Paolo“.
Olivero: “Incontrai Paolo VI per parlare dei problemi delle persone”
A Torino, negli anni ’60, racconta Ernesto Olivero al Corriere della Sera, “Ti volevano conservatore o progressista. Io non capivo. Le etichette erano troppo strette per contenere grandi ideali. Io volevo essere semplicemente cristiano, aperto al dialogo. È in quegli anni che è nato il Sermig”. Così, lasciò il posto in banca: “Nel 1991, ricevetti una telefonata da parte di un uomo di Dio con cui ogni tanto mi confrontavo. “Se ritiene, può licenziarsi”, mi disse. Ne parlai con mia moglie Maria e lei mi appoggiò. Decisi di fare così, senza rimpianti, vivendo poi della mia pensione. Da quel momento, il mio impegno è diventato da 24 ore su 24″. Negli anni, poi, non sono mancate le soddisfazioni: “Negli Anni ’70 decisi che avrei portato a papa Paolo VI il disagio di tante persone che conoscevamo e che sentivano la Chiesa ricca distante dai problemi. Riuscii a incontrarlo a tu per tu. Lui mi abbracciò e mi diede ragione. “Faccia lei quello che chiede a me”. Anni dopo scoprimmo che l’arsenale era proprio lì. Ma era davvero un rudere, servivano molti miliardi per rimetterlo a posto e noi non avevamo una lira. Il patto era chiaro: il Comune ce lo avrebbe affidato a condizione che fossimo noi a rimetterlo a posto”.
Tante persone sono state vicine ad Ernesto Olivero nel corso degli anni: “Penso all’amicizia con “giganti” come Madre Teresa di Calcutta, papa Giovanni Paolo II, don Luciano Mendes de Almeida, presidente dei vescovi brasiliani, il mio migliore amico. Ricordo quando andai a piangere da Madre Teresa per alcune calunnie ricevute e lei con un sorriso mi consolò ricordandomi che ognuno ragiona in base al marciume che ha dentro. Una figura decisiva è stata il cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino in quegli anni”. Negli anni, il Sermig è cambiato: prima i progetti dei missionari, poi gli aiuti umanitari e ancora l’aiuto ad ex terroristi, donne che volevano lasciare la strada e così via. Ogni gli Arsenali sono a Torino, San Paolo in Brasile e Madaba in Giordania: qui, sono quasi duemila le persone aiutate.