Una fuga dalla giustizia lunga 30 anni e un arresto plateale avvenuto, non senza ombre e polemiche, il 16 gennaio 2023 nel cuore di una Palermo che custodirebbe ancora molti dei suoi segreti criminali. Ma chi è Matteo Messina Denaro al di là della sua latitanza record e della cattura? Superboss originario di Castelvetrano, nel Trapanese, è uno dei volti di spicco di Cosa Nostra sebbene davanti ai pm che lo interrogano neghi essere un mafioso. Provato dalla malattia, come dice il suo legale, ma non dal peso di stragi e omicidi che gli sono stati attribuiti e che lo hanno visto finire all‘ergastolo al 41bis come uno dei più pericolosi capimafia che la Sicilia ricordi.
Ma non si tratta dell’unico lineamento della sua storia a essere rigettato dall’ex superlatitante che diventò pupillo di Totò Riina assumendo una posizione centrale nelle dinamiche interne alla Cupola: dice anche di non aver avuto alcun ruolo nell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito, segregato e infine ucciso e barbaramente sciolto nell’acido nel 1996, dopo 2 anni di prigionia in un tugurio sottoterra. Secondo le sentenze emesse a suo carico prima di finire dietro le sbarre in regime di carcere duro, Matteo Messina Denaro, “l’ultima primula rossa di Cosa Nostra”, si sarebbe macchiato di atroci delitti – il cui numero sarebbe imprecisato -compresa la veste di mandante delle stragi del 1992 di Capaci e via D’Amelio in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Matteo Messina Denaro: stragi, omicidi e condanne
Su Matteo Messina Denaro pendono accuse ed ergastoli, ritenuto coinvolto in stragi e omicidi tra cui gli attentati di Capaci e via D’Amelio contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a Palermo, e l’organizzazione del rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Santino Di Matteo sequestrato all’età di 12 anni, segregato fino ai 14 e infine strangolato e sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996. Per la giustizia, Messina Denaro fu tra i registi di quella sconvolgente pagina di Cosa Nostra per costringere il padre di Giuseppe Di Matteo a ritrattare i contenuti delle sue rivelazioni sulla strage di Capaci. Il bambino fu assassinato dopo 779 giorni di prigionia. Interrogato dopo la cattura, dopo aver negato l’orizzonte di un pentimento, l’ex superlatitante avrebbe rivolto queste parole ai magistrati: “Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo, ma con l’omicidio del bambino non c’entro“. È così che Matteo Messina Denaro si sarebbe detto estraneo all’efferato delitto del piccolo Di Matteo, ritenendo responsabile Giovanni Brusca.
Riavvolgendo il nastro del suo curriculum criminale si arriva agli anni ’92 e ’93, a quell’era stragista fatta di tritolo e attentati tra la Sicilia e il “continente”. Nel 1999, ricostruisce Il Messaggero, Matteo Messina Denaro incassò la prima condanna all’ergastolo in contumacia insieme a Vincenzo Virga e Nicolò Di Trapani perché ritenuti mandanti dell’omicidio di Giuseppe Montalto, agente di polizia penitenziaria in servizio all’Ucciardone di Palermo assassinato a Palma (Trapani) nel 1995. Nel 2000 un altro ergastolo, in contumacia, con Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella e Salvatore Riina per le bombe del 1993 a Firenze, Milano e Roma. Nel maxiprocesso Omega, fu condannato ad un altro ergastolo in contumacia prima di quello inflittogli nel 2003, in contumacia insieme a Totò Riina, Leoluca Bagarella, Andrea Mangiaracina e Salvatore Madonia nel processo in cui furono imputati di un centinaio di omicidi consumati durante la faida mafiosa di Alcamo. Secondo l’accusa, nell’estate 1992 fu tra gli esecutori dell’omicidio di Vincenzo Milazzo, capo della cosca di Alcamo, e pochi giorni dopo avrebbe ucciso la compagna Antonella Bonomo, incinta di tre mesi. Nel 2012, nuova condanna all’ergastolo sempre in contumacia per il rapimento e l’uccisione di Giuseppe Di Matteo, imputato con i boss Filippo e Giuseppe Graviano. Poi la condanna a Caltanissettaper le stragi di Capaci e via D’Amelio quale uno dei mandanti degli attentati che sventrarono il cuore di Palermo e delle istituzioni.