Caro direttore,
Giorgia Meloni, prendendo d’infilata l’opposizione, si è sbilanciata non da poco nei confronti delle banche nel voler tassare gli extraprofitti, e personalmente non mi ha stupito la campagna di stampa subito avviata contro il Governo da buona parte dell’informazione, sempre molto ossequiosa nei confronti di questa Europa dei banchieri che fanno e disfano sempre a loro vantaggio e mai della gente comune.
Riflettendo, dovrebbe apparire assurdo per tutti che la Bce possa alzare in un anno i tassi di riferimento dallo 0,5% ad oltre il 4,25%, così che gli interessi attivi (per le banche) si ribaltino immediatamente sui costi dei soldi prestati alle aziende e alla clientela, ma che non venga riconosciuto un aumento proporzionale sui tassi dei depositi: in questo modo la differenza diventa solo un enorme profitto non a vantaggio comune, ma soltanto degli stessi istituti di credito e dei fondi sovrani esteri che ci stanno dietro, quelli che contano infinitamente di più dei piccoli risparmiatori.
Viene sempre frettolosamente spiegato che la Bce con le sue manovre “vuole così raffreddare l’inflazione”, ma un semplice ragionamento sottolinea l’incongruità di ogni manovra se i profitti non vengono reinvestiti almeno in parte nel sistema sotto forma di tassazione forzosa.
Se un’azienda paga il credito più caro, se si vede ridurre la liquidità e qualsiasi suo investimento diventa quindi più costoso, come può non scaricare almeno una parte di questi costi sui prezzi? Quindi i maggiori tassi non riducono da soli l’inflazione – come recita invece la litania usata dalla Bce per giustificarli – ma sostanzialmente si trasformano solo in (taciuti) enormi profitti bancari.
La scelta del governo rompe finalmente una specie di atavico tabù e certi commenti – vedi quelli del Financial Times, ufficiale cane da guardia dei banchieri, o le (false) preoccupazioni di Moody’s che delle banche è il portavoce – lo confermano. Certo che le banche così guadagneranno un poco di meno, ma perché dovevano mai guadagnare (gratis) così tanto di più?
La stessa Borsa, sofferto un giorno, è subito rimbalzata anche sui titoli bancari ed è assurdo che i commenti politici si concentrino sullo schierarsi pro o contro il Governo e non cerchino piuttosto di spiegare bene ai lettori questi meccanismi, che – tra l’altro – consiglierebbero anche all’Italia di indebitarsi il meno possibile per Pnrr e Mes.
Immaginiamo che tutti i governi europei seguano quello italiano dimostrando maggiore compattezza e indipendenza dal ricatto della Bce: la politica europea ne uscirebbe rafforzata e la nostra stessa economia respirerebbe di più.
Mi auguro che queste scelte del governo siano quindi solo l’inizio e che l’Italia progressivamente smetta di essere così passiva nei confronti proprio della Bce e sulle sue politiche monetarie, anche perché è veramente tutto da dimostrare che l’inflazione europea degli ultimi due anni sia stata generata non già da squilibri tra domanda ed offerta, ma soprattutto per l’enorme rincaro e ricatto sul prezzo delle materie prime a sua volta imposto e causato da scelte politiche legate alla guerra in Ucraina, una guerra – guarda caso – accolta con applausi proprio dalla Bce.
Non serve la demagogia, ma la concretezza ed abbiamo tutti bisogno di un’Europa più vicina ai cittadini, non schiava della burocrazia di Bruxelles o di quella delle banche centrali che a loro volta rispondono, prima che ai propri governi, ai loro azionisti, ovvero – come nel caso della Banca d’Italia – alle banche che la controllano. È scoraggiante che la gente non capisca o conosca poco questo sconcertante meccanismo, dove sono le stesse banche ad autodeterminarsi i profitti agendo non sulla loro efficienza e competitività, ma solo sui tassi di interesse decisi a livello europeo.
Se chiedete a cento italiani chi controlli la Banca d’Italia quasi tutti sono stati portati a pensare che sia un’autorità indipendente ed autorevole, una sorta di baluardo “tecnico” a difesa dell’economia e stabilità del Paese; quasi nessuno sa che invece è di fatto di proprietà delle banche e che quindi abbia ben chiari interessi “di parte”.
L’informazione questo non lo chiarisce bene, così come chiude spesso gli occhi su altre vicende, per esempio proprio sugli interessi da usura (altro capitolo su cui il Governo potrebbe e dovrebbe intervenire con fermezza imponendo tetti ragionevoli) applicati da banche e finanziarie sul “pronto credito” e gli sconfinamenti occasionali usando le carte di credito. Altro che aiuto o finanza sociale!
Piccoli importi per necessità famigliari, ma che si moltiplicano nei momenti di crisi con anatocismi e costi sconosciuti ai più, così come il cittadino non vede mai chiaramente chi lucra sui costi delle materie prime, come per gli ingiustificati aumenti della benzina alla pompa con il petrolio sostanzialmente fermo a livello di prezzo al barile.
Quanti notano che i prezzi della benzina sono “a grappolo” per singole aree con un prezzo evidentemente preconcordato tra gli impianti locali? Ecco il perché di avere almeno pubblico e visibile il prezzo regionale di riferimento: solo conoscendolo e forse boicottando la pompa esosa l’automobilista potrebbe incentivare i ribassi generali.
Va dato atto, quindi, come ultimamente questo Governo stia faticosamente cercando di muoversi in questo campo minato, anche se è frenato da evidenti interessi in gioco ed è ancora troppo presto per verificare i risultati. Questa è però la strada giusta, se si vuol dimostrare che un governo di destra può (e dovrebbe) essere più “sociale” di quelli di sinistra e un po’ più sganciato dai grandi interessi economici che hanno sempre applaudito – ad esempio – le scelte di Draghi.
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