In questi giorni la maggior parte degli italiani sono in ferie, anche quelli che le ferie devono farle a casa loro, perché anche per l’aumento dei prezzi molti non possono certo permettersi costosi viaggi o altrettanto costosi soggiorni al mare o in montagna.
Poi ci sono tanti russi e ucraini che le “vacanze all’estero” le stanno protraendo da molto tempo. Sono quei giovani che non vogliono andare in guerra. Quelli che scappano o che corrompono gli arruolatori che dovrebbero mandarli al fronte. Certo ci sono anche alcuni idealisti che sono contro la guerra per motivi di principio e/o di coscienza, perché non sono d’accordo con chi ha iniziato questa guerra.
Ma diciamo la verità: anche prima dell’intervento di Zelensky contro gli arruolatori corrotti, molti di noi sapevano bene, per esperienza personale, che chi può scappa da una prospettiva di morte o di invalidità confermata dai dati.
L’altro ieri il Corriere della Sera parlava di 500 bambini ucraini uccisi e 1000 feriti. Ma quante migliaia sono gli adulti, non solo soldati, non solo ucraini morti o feriti durante il conflitto?
La guerra comunque continua come in una partita a scacchi arrivata al cosiddetto stallo. Eppure i contendenti, contro l’evidenza dei fatti, puntano alla vittoria. E così oltre alle sofferenze cresce l’ingiustizia.
Mentre molti rischiano ogni giorno la vita in combattimento, altri, per lo più tra i più ricchi, possono godersi la libertà, almeno in certi casi, di fare le vacanze come noi italiani. E non sto parlando, ovviamente, solo di madri e bambini sfollati che invitati a trascorrere un breve periodo con i “nostri” non possono non pensare con angoscia ai loro cari al fronte o comunque sotto i bombardamenti.
Questa situazione fa capire ancora meglio che quando questa guerra finirà, lasciando montagne di macerie non solo materiali, sarà veramente necessaria l’opera di pacificatori che agiscano con giustizia, non solo a dividere i contendenti, ma anche a ripristinare rapporti giusti tra chi ha patito e chi è fuggito, o, addirittura, ha tratto profitto dalla guerra.
Anche tra i miei amici c’è chi dice che comunque per ora è presto per pensare ad organizzare questo corpo di pacificatori. Io non sono d’accordo. Non solo perché, come si può capire, costituire un tale corpo è una missione molto complessa, ma anche perché lo stesso fatto della loro preparazione sarebbe uno stimolo a far conoscere all’opinione pubblica una prospettiva che sia diversa da quella di una improbabile vittoria.
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