Nell’incontro di oggi, 20 agosto, primo giorno del Meeting di Rimini, insieme ad alcuni amici anch’essi responsabili di varie attività di accoglienza, Luca Sommacal, Catia Petta, Jimmy Tamba e, spero tanto, sotto lo sguardo benevolo di monsignor Massimo Camisasca, proverò a rispondere al titolo dell’incontro così significativo e suggestivo: Accoglienza: il frutto dell’amicizia. Titolo e incontro quanto mai opportuno, perché non è mai abbastanza sottolineato, perché non capito, non compreso, non veramente creduto, che senza amicizia, senza una vera, grande, profonda, vasta capacità ed esperienza di amicizia non ci sarà mai buona, sana, feconda e responsabile accoglienza.
Raccontando l’esperienza educativa e terapeutica che si dipana nelle comunità L’imprevisto di Pesaro vorrò testimoniare come ogni tentativo di aiuto, di collaborazione tra le persone (soprattutto quando si incontrano i ragazzi e, fra questi, quelli più riottosi, ribelli, sofferenti, aggressivi, violenti) porta frutto quando nasce e si sviluppa un’esperienza di coinvolgimento, di grande implicazione, di compassione, di simpatia tra le persone. Occorre voler bene, saper offrire sé stessi. Certo, quando necessario e utile, avvalendosi anche di strumenti e mezzi professionali e scientifici di lettura e di intervento, ma senza mai prescindere da un vero significativo coinvolgimento fra le persone.
A guardar bene questo non riguarda solo certi ambiti o strutture più direttamente deputate all’accoglienza ma l’intera esperienza umana, tutti gli ambiti della convivenza civile. Pensiamo a due importantissimi ambiti sociali: la scuola e la sanità. Gli insegnanti che pensano di poter svolgere il loro compito prescindendo da un significativo, umanissimo e intraprendente coinvolgimento affettivo, relazionale, di convivenza vera e propria, non potranno mai espletare il loro vero, specialissimo compito di educatori (un po’ ci si vergogna a ricordarlo, ma, da che mondo è mondo, si è sempre detto e scritto che gli insegnanti sono “figure genitoriali”).
Così il personale medico e sanitario, senza un’appassionata e diuturna, tenera, interessata attività-capacità di presenza, autorevole e simpatetica, non raggiungeranno mai risultati importanti e duraturi. Accoglienza e amicizia sono esperienze, sono un dono, un imprevisto grande e ammirevole e sono anche il portato, il segno, la testimonianza, la speranza per tutto il mondo. Sono lo specchio del grande mistero nel quale si dibatte e dimena la vita dell’uomo. Sono la prova incredibile e inaspettata del desiderio buono di ogni uomo, sono il frutto di incontri impensati e immeritati che tantissime volte (cosa dico: tutte le volte, sempre, sempre) hanno portato con sé il sapore dell’eterno, di una novità feconda, di una forza inesauribile.
Accoglienza e amicizia sono una sfida per il cuore di ogni persona, per il cuore della società. Sicuramente l’intenzione degli organizzatori dell’evento di Rimini, sono persuaso, è senz’altro quella di aiutarci a capire, attraverso l’ascolto di più esperienze e con l’importante aiuto di monsignor Camisasca, come possiamo essere uomini, uomini veri, uomini, se così possiamo dire, umani. Non è facile, non è scontato. Occorre impararlo, ritornare a scuola dell’accoglienza reciproca, della vera e santa amicizia, occorre reimparare l’abc della vita, occorre imparare, ricominciare, ripartire dai piccoli, dai semplici, dagli indifesi.
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