Se si volesse individuare un filo conduttore del 44° Meeting di Rimini, la decisione non potrebbe cadere che sul “lavoro” in tutte le sue forme e percezioni e contraddizioni. Un tema, tra l’altro, particolarmente caro ai giovani che ancora rappresentano la parte più numerosa e vivace dei partecipanti alla kermesse.
Il lavoro è il fondamento della nostra Repubblica democratica (articolo 1 della Costituzione) che s’impegna a riconoscerne il diritto e a promuovere le condizioni che lo rendano effettivo in modo che ogni cittadino possa compiere il dovere di svolgerlo secondo possibilità e scelta concorrendo così al progresso materiale e spirituale della società (articolo 4).
Detto questo ci troviamo davanti a un rebus. Mai come in questo momento in Italia l’espressione presenta tante sfumature da renderne difficile l’inquadramento. E poi i numeri fanno impazzire perché abbiamo in contemporanea il record degli occupati e di quelli che non lo sono e non studiano né si formano per ottenerlo. Anche in questo vince una forte polarizzazione.
E, poi, che significa oggi lavorare? Subire il peso di un’imposizione della quale si farebbe volentieri a meno (compici misure assistenziali come il Reddito di cittadinanza) o realizzare la propria personalità contribuendo al progresso e al successo della comunità di appartenenza? Muovere i muscoli o pensare? Fornire una prestazione o garantire un risultato? In presenza o a distanza?
E, ancora, a quale grado di flessibilità si aspira? Tira sempre e comunque l’impiego a tempo indeterminato con orari fissi e prestabiliti in fabbrica o in azienda o si preferisce conquistare crescenti spazi di libertà che consentano di migliorare il rapporto con la vita privata e gli interessi che ne derivano? Si è disposti a viaggiare o resiste l’aspirazione per il posto sotto casa?
Il bello e il variegato della faccenda è che il lavoro si compone proprio come le figure in un caleidoscopio, mutate e mutanti ogni volta che gli si getti un nuovo sguardo. Di certo emerge con forza la necessità di prepararsi con coscienza anche se viene sfatato il mito della laurea come principale porta d’accesso ed è un’anomalia il cui significato andrebbe approfondito.
All’argomento è stata dedicata anche una mostra dal titolo “Da solo non basto” che presenta storie ed esperienze di recupero di dignità e fiducia attraverso la possibilità di sviluppare i propri talenti e metterli a disposizione degli altri, oltre che di se stessi, negli ambienti più diversi e grazie all’intuizione di imprenditori coraggiosi perché capaci di pensare e agire fuori degli schemi.
L’universo mondo del lavoro si compone di una domanda sempre più sofisticata e di un’offerta sempre più selettiva. L’aspirante assunto, qualsiasi formula si usi, valuta la proposta di chi l’esamina con la stessa attenzione che questi mette nel giudicare la sua idoneità. Le parti si pesano e giudicano a vicenda e diventa sempre più complicato raggiungere una soddisfazione reciproca.
Trovare le persone giuste e non perderle per strada, da parte dei datori di lavoro, diventa un esercizio molto duro che richiede una grande capacità di ascolto e di adattamento. Diventa cruciale saper distinguere tra le richieste fondate e le pretese campate in aria. Tra ciò che si può concedere e quello che no. Tra il sacrosanto diritto di chi merita e il capriccio che non manca mai.
Insomma, siamo in pieno cantiere aperto. E sull’edificio in costruzione incombe l’impatto non ancora calcolato delle nuove tecnologie e, in particolare, dell’Intelligenza artificiale che pone inediti quesiti anche di ordine morale. Il carattere e la capacità di fronteggiare i cambiamenti saranno le qualità che più di qualsiasi altra cosa daranno senso alle conoscenze e alle competenze.
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