Mercenari Wagner in Africa, quale futuro e quali prospettive?
La morte di Evgeny Prigozhin, avvenuta lo scorso 23 agosto con l’abbattimento del suo jet privato, apre ora nuovi interrogativi sul futuro dei soldati che da diversi anni sono impegnati in prima linea nella strategia di penetrazione del continente africano condotta dal Cremlino. Secondo le stime più aggiornate sarebbero circa 4mila i mercenari a libro paga di Wagner operativi in Africa, dove da tempo, appunto, rispondono ai comandi del ministero della difesa russo. Secondo quanto si legge su La Stampa, in un articolo a firma dell’esperto Domenico Quirico, dopo il dilagare dei golpe nel Sahel è possibile che la presenza russa possa estendersi anche nei paesi del Fronte del rifiuto antioccidentale.
“I guerrieri della Wagner sono anche in Libia, in Sudan e in Mozambico seppur con presenze meno risolutive. In Africa la Wagner vuol dire non soltanto kalashnikov a costoso pagamento, significa anche oro, petrolio, diamanti, legno pregiato, perfino caffè e alcol”, si legge nel pezzo, che affronta anche il tema delle concessioni minerarie e delle ricche tangenti che regolamentano i rapporti di “sicurezza”.
Il legame consolidato tra la Wagner e la politica del Cremlino
Dunque la Wagner finirebbe di esistere senza il supporto logistico e materiale dell’esercito russo, con il Cremlino sempre in prima linea per l’addestramento dei mercenari, che avverrebbe nella base di Molkino, nel Sud-Ovest della Russia. Il legame tra la Wagner e la politica del Cremlino dunque è ben radicato, come spiega dettagliatamente l’esperto nel suo articolo per La Stampa.
“L’Africa significa risorse denaro infiltrazione egemonica in Paesi i cui popoli detestano sempre di più la interessata arroganza occidentale e sono disposti a pagare la sicurezza a chiunque senza badare al pedigree. È un impegno altamente strategico, il lato Sud della battaglia d’Ucraina che potrebbe risultare alla fine decisivo. E la Wagner, la sua opacità, la disinvoltura etica con cui realizza il saccheggio economico e la brutalità con cui conduce le operazioni sul campo, restano, con o senza Prigozhin, lo strumento perfetto”, l’amara analisi dell’esperto giornalista.