È chiaro che adesso le battute si sprecano: da quella che ironizza sul necessario passaggio del nome ufficiale del partito da Fratelli a “Sorelle d’Italia” al “teniamo tutti famiglia” di casa Meloni-Lollobrigida.
È probabile che Giorgia Meloni le abbia tenute in debito conto, eppure, al rientro dalla sua breve vacanza in Puglia, ecco subito prender forma quanto già deciso prima delle ferie: nel rinnovare le strutture centrali del partito proprio a sua sorella Arianna la leader di FdI ha affidato l’incarico molto delicato di vigilare sul tesseramento.
Arianna è anche coniuge del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, a capo di un ministero che doveva scomparire per l’esito di un antico referendum ma che è invece man mano cresciuto ed è ora il “ministero dell’Agricoltura, sovranità alimentare e delle foreste”.
La “Meloni 2” occuperà una scrivania che – quando si governa – non è solo un burocratico intreccio di tessere verso la periferia, ma diventa snodo strategico soprattutto per fare il punto (e il filtro) sui nuovi arrivi nel movimento, una sorta di “gradimento di qualità” decisamente necessario perché, quando il vento tira a favore come in questi mesi, sono appunto in tanti a sgomitare per farsi avanti, vantando tutti patenti di presunta nobiltà politica.
Una nuova pattuglia di dirigenti – quasi tutti più o meno quarantenni – ha quindi preso spazio al secondo piano dello stabile romano di Via della Scrofa, sede della direzione nazionale FdI, nelle stesse stanze che già furono la sede storica del Msi-Dn fin dai tempi di Almirante e poi di Alleanza Nazionale con Gianfranco Fini felicemente regnante. Locali tra l’altro in parte recuperati solo di recente (fino all’anno scorso metà del piano non era affittato a FdI) e dove padrona di casa è sempre la società Italimmobili, “cassaforte” immobiliare ancora in mano alla Fondazione Alleanza Nazionale che a tutti gli effetti ne detiene la totalità delle quote.
Ha fatto indubbio rumore l’affidamento dell’incarico alla sorella della premier, ma la scelta è stata quasi obbligata, visto che la Meloni non può fidarsi proprio di tutti e la già ristretta cerchia dei fedelissimi (soprattutto quella collaudata nei movimenti giovanili dell’ex An, nel partito e in parlamento nelle precedenti legislature), è di fatto trasmigrata al governo e quindi servivano rincalzi fidati e l’incarico affidato ad Arianna Meloni è di quelli che contano, ma nella discrezione e nel silenzio.
È stata comunque una promozione ufficiale per Arianna, ma anche di Giovanbattista Fazzolari, già “uomo-nomine” con delega all’attuazione del programma (ma soprattutto, appunto, uomo chiave per le nomine in quota FdI in società, enti e partecipate) che prenderà di fatto anche il posto di Mario Sechi, ormai ex coordinatore della comunicazione della Meloni a Palazzo Chigi, che andrà a dirigere Libero.
Nuovi galloni anche per Francesco Filini, che diventa responsabile del programma, con Andrea Moi alla guida del dipartimento comunicazione del partito, mentre il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi va al coordinamento delle autonomie locali. Nasce anche in FdI il dipartimento immigrazione (viene scorporato infatti da quello “Legalità e sicurezza”), nuova struttura che viene affidata a Sara Kelany, una deputata alla prima legislatura, figlia di padre egiziano e madre italiana, anche lei molto vicina a Meloni. Andrà invece all’assessora piemontese Elena Chiorino (di Biella come l’on. Andrea Delmastro e possibile candidata alla presidenza del Piemonte se al governatore Cirio fosse offerto un posto visibile in Europa) il dipartimento “lavoro e crisi aziendali”.
Una verifica sul sito dell’organigramma aggiornato di FdI conferma che l’intero apparato tende però al gigantismo con ben 42 gruppi, uffici o dipartimenti (e in attesa di vice-coordinatori e dirigenti) ma dove non sempre il numero garantisce operatività, diventando a volte – come in tutti i partiti – un piccolo riconoscimento ”ad personam” magari a titolo di premio di consolazione.
Tra l’altro alcuni settori portano nomi curiosi come quello della “Cultura rurale” (Maria Cristina Caretta), la “Consulta del dialogo interreligioso” (Maria Burani) e le “politiche della navigazione” (Luigi La Nera).
Insomma un po’ di spazio per tutti in prima o seconda fila, ma non c’è dubbio che la posizione di Arianna Meloni non sarà solo questione di facciata.
La domanda che corre – e che nessuno in FdI ammetterà, neppure sotto tortura – è se la scelta sia stata almeno in parte dettata da nepotismo. Francamente non mi sembra, visto che più del cognome conta per quest’incarico la fiducia del leader (e in questo senso le due sorelle sono da sempre inseparabili) ma anche perché al “tesseramento” ci sono sempre più grane che onori. Una scelta fiduciaria, insomma, ma di quelle che in un partito servono soprattutto per tenere le briglie corte per tutti, soprattutto se prima o poi (“poi”, molto probabilmente) anche FdI penserà ad un congresso.
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