Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Dispiace ricordare questo noto e, purtroppo, consueto (talvolta) ricorso alla sfiducia. Un appello che, paradossalmente, dettato dalla prudenza comporta un inevitabile agire solitario anziché comunitario. Una sorta di isolamento individuale non solo fisico ma, molto spesso (forse troppo) di natura più intellettuale. Un pensare egoista. Una difesa da altro, ma non solo: molto spesso anche dall’altro.
Una chiusura che tutela contrapponendosi a una eventuale apertura che, se condivisa, presenterebbe l’esatto opposto di una fantomatica medaglia: l’unione fa la forza. Pertanto, governati dalla prudenza, al primo cenno di evidente sfiducia, ecco giungere il sempre pronto “si salvi chi può”. Guardando alla storia, però, si possono valutare le effettive valenze di una fuga o, viceversa, di una ben augurante fiducia. Anche se tale non è.
Nel corso della giornata di ieri, Istat ha pubblicato la sua periodica rilevazione sulla “Fiducia dei consumatori e delle imprese” riportandone i dati relativi ad agosto. Nel consueto commento emerge, di fatto, un innegabile pessimismo di fondo che caratterizza i principali attori economici del nostro Paese: “Ad agosto, la diminuzione dell’indice di fiducia delle imprese esprime un generalizzato peggioramento in tutti i comparti economici indagati. L’indice si attesta sul valore più basso da novembre 2022. L’indice di fiducia dei consumatori si riduce lievemente pur mantenendosi sopra il livello medio del periodo gennaio-luglio 2023. Si evidenzia un deciso peggioramento delle opinioni sulla situazione economica generale, una diminuzione delle attese sulla disoccupazione e un miglioramento delle valutazioni sulla situazione economica personale”.
Oggettivamente, ci troviamo di fronte ad un epilogo estivo poco gradevole o, alimentando il già citato clima di sfiducia, possiamo serenamente considerare un futuro non molto roseo. Dalle singole rilevazioni esposte e dalla stessa puntualizzazione fatta da Istat (il dato sulla “sfiducia” delle imprese) appare quello che maggiormente potrebbe preoccupare poiché facilmente ancorabile a una credenza limitante e limitata sull’effettiva debolezza (potenziale) del cosiddetto tessuto produttivo del Paese.
A confutare (o confermare) questo scenario riteniamo opportuno ricorrere all’unico strumento in nostro (vostro) possesso, ormai consuetudine, e cinicamente privo di fraintendimenti: i numeri. Partendo da una elementare comparazione tra gli andamenti del mercato borsistico italiano (rif. indice Ftse MIB) e dalle stesse dinamiche registrate dall’indice composito del clima di fiducia delle imprese, qualche dubbio sull’effettiva valenza della “sfiducia” appare fondato. Un dato su tutti poiché più recente, ma, soprattutto, perché citato da Istat: è ovviamente vero che la fiducia sia calata fino a giungere ai valori dello scorso novembre e, parallelamente, potrebbe anche essere vero come tale sconforto abbia (o meno) una stretta correlazione con i prezzi di Borsa. Purtroppo, o forse è meglio dire per fortuna, questo non è accaduto. In questi nove mesi, infatti, Piazza Affari ha messo a segno una performance positiva di oltre diciassette punti percentuali (+17,4%) rispetto al clima di fiducia delle imprese che ha visto i propri valori ritornare al loro punto di partenza: gli attuali 106,8 ovvero in prossimità dei 106,7 punti di novembre 2022.
Estendendo l’orizzonte temporale agli ultimi tre anni, i numeri confermano sì una correlazione tra due andamenti, ma, nella fattispecie, trovano una maggior applicazione statistica con il contrapposto indice che misura il clima in capo ai consumatori anziché le imprese. Focalizzando l’osservazione ai singoli trend annuali (mercato borsistico vs indice Istat) appare evidente la più diretta e marcata dinamica tra i prezzi di Borsa e i risultati Istat. A confermare questo “inedito” assioma, già su queste pagine, avevamo riportato l’anomalia imprese-consumatori. Era luglio dello scorso anno e, in quella occasione, la “sfiducia” era in capo sia ai consumatori (“un’evoluzione negativa, raggiungendo un minimo da novembre 2020”) che ai più interessati investitori.
Di opposta veduta, invece, l’allora sentiment delle imprese (“valore più elevato da dicembre 2021”). Oggi, a distanza di oltre un anno, riguardando ai nostri sempre e soli numeri, le risultanze che emergono sono eloquenti: luglio 2022 ha rappresentato l’area di minimo (successivamente ritoccata a settembre e ottobre) a quota 20.500 punti. Da questo livello, nel corso dei mesi a seguire, abbiamo potuto assistere a un netto incremento dei valori in dote all’indice del clima di fiducia dei consumatori così come allo stesso andamento di Borsa che, alle quotazioni di ieri, vede spiccare un balzo del +41,05%. Altre potrebbero essere le similitudini (positive) attraverso le quali siamo “incappati” in questo ultimo triennio, ma, preferiamo ovviare alla loro menzione. Il dato, comunque, rimane e, riprendendo la medesima chiosa finale di un anno fa, vogliamo nuovamente ricordarlo: “A voi tutti sfiduciati: pazientate e vedrete e, almeno questa volta, abbiate fiducia”. Saranno altri gli elementi di preoccupazione e inevitabile sfiducia. L’autunno è ormai alle porte.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.