La presa di posizione di Charles Michel sull’operazione allargamento dell’Unione europea è diventata un caso. Il presidente del Consiglio dell’Ue in Slovenia ha fissato al 2030 l’obiettivo. “La stragrande maggioranza dei governi dell’UE è rimasta assolutamente sconcertata“, rivela un diplomatico europeo. Per il ruolo che ricopre, Michel deve riflettere l’opinione dei 27 Stati Membri, ma “purtroppo non sta facendo bene questo lavoro“. Peraltro, il suo mandato scade l’anno prossimo, molto prima del 2030. Anche per questo motivo, secondo quanto riportato da Süddeutsche Zeitung, molti rappresentati dei governi sono irritati da questa iniziativa, che anticipa i tempi su una questione politica difficile e complicata come l’ammissione di nuovi membri dell’Ue. “L’allargamento si basa su criteri che i Paesi devono soddisfare, non su date“, critica un diplomatico.
“Fissando una data finale, Michel toglie pressione ai Paesi candidati e la sposta sull’Ue. Se si considera quanto i candidati devono ancora fare, questo è uno sviluppo pericoloso“, avverte. C’è chi, però, evidenzia come le parole di Michel fossero forse necessarie anche per dare al dibattito sull’allargamento un po’ più di forma e di direzione. “La guerra in Ucraina ha dimostrato che l’Ue deve permettere ai Paesi dell’Est che non sono ancora membri di aderire per motivi geo-strategici“, afferma Mujtaba Rahman, esperto di Europa presso la società di consulenza Eurasia Group. Persino la Francia, che prima era molto scettica sull’allargamento dell’Ue, ha cambiato idea ed è ora favorevole, perché “è in gioco il futuro dell’Europa“.
ALLARGAMENTO UE, LE QUESTIONI SPINOSE
Quel che non è chiaro è quali Paesi debbano essere ammessi quando e in quali circostanze. Il Presidente del Consiglio Michel vuole che i 27 capi di Stato e di governo ne discutano in dettaglio durante il vertice di ottobre, ma la decisione sull’opportunità di avviare colloqui formali di adesione sarà presa a dicembre. Ci sono 10 Paesi candidati vogliono entrare nell’Unione europea, ma per farlo devono attuare molte riforme. Ma prima di ciò, anche l’Ue è tenuta ad apportare importanti cambiamenti. Visto che il tempo stringe, la definizione di una data finale provvisoria potrebbe contribuire a rendere i negoziati più vincolanti. Attualmente, i candidati ufficiali all’adesione all’UE sono otto.
I Paesi balcanici di Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Serbia e Macedonia settentrionale, oltre all’Ucraina e alla Repubblica di Moldova. La Turchia è probabilmente presente nella lista solo pro forma, in quanto i colloqui di adesione con Ankara sono fermi da anni. Anche Georgia e Kosovo sono considerati possibili candidati. Ma l’allargamento dell’Ue non dipende solo dalle riforme dei candidati. “Le questioni politiche più spinose dell’allargamento riguardano l’organizzazione interna dell’UE. Riguardano i soldi, l’organizzazione del potere, le modalità di voto e la sicurezza dei confini“, aggiunge l’esperto Rahman.
ALLARGAMENTO UE, IL NODO UCRAINA
Al centro di ogni valutazione c’è l’Ucraina, il più grande Paese europeo dopo la Russia. Ma la sfida per Kiev è enorme, perché ci sono riforme da apportare in tutti i settori. Inoltre, bisognerebbe contribuire a finanziare la ricostruzione di un Paese devastato dalla guerra, che costerà centinaia di miliardi. C’è poi il nodo della politica agricola comune, che andrebbe stravolta con l’ingresso dell’Ucraina, in quanto è uno dei maggiori produttori ed esportatori agricoli del mondo. Un altro aspetto politicamente esplosivo. La guerra in Ucraina ha evidenziato anche un altro problema interno dell’Ue che molti governi vogliono vedere risolto prima dell’adesione di altri Stati: il principio dell’unanimità per le decisioni importanti.
Soprattutto in politica estera e di sicurezza, ogni Paese dell’UE può impedire le decisioni con il veto. Per questo, in un discorso programmatico sull’Europa del 2022, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha subordinato l’ulteriore allargamento a un maggior numero di decisioni in politica estera dell’Ue prese con la cosiddetta maggioranza qualificata. I sostenitori del voto a maggioranza avvertono che un’Ue con più di 30 membri sarebbe paralizzata e incapace di agire, più debole di prima dell’allargamento.