Un canale televisivo latinoamericano ha fatto un’interessante confronto tra opinioni espresse da leader del populismo di quel continente ed è emerso un panorama molto uniforme tra loro. Citando ad esempio Hugo Chavez, un ex generale ora fuggito dal Venezuela, ha rivelato come, facendo seguito ad una sua richiesta di opinione sui problemi economici del Paese, il “líder maximo”, con enorme cinismo, rispose all’intervistatore: “Lei non ha compreso la rivoluzione. La rivoluzione cerca di mantenere i poveri, che sono tali, però dandogli una speranza. Perché loro sono quelli che votano per noi e in definitiva ci danno il potere. Non li possiamo aiutare a trasformarsi in classe media perché a quel punto si trasformerebbero per noi in nemici“.
Stesso pensiero venne espresso anni dopo pure dall’attuale presidente colombiano, Gustavo Petro, e da quello del Messico, Andrés Obrador. A questi potremmo aggiungere tranquillamente i leader attuali e passati della Bolivia, mentre in Ecuador i risultati elettorali delle primarie hanno portato alla vittoria della candidata del Correismo, Luisa González, che il 15 di ottobre si disputerà la presidenza con il candidato della Destra Daniel Noboa. Quindi, con ogni probabilità, pure lì un Partito fondato da un presidente accusato e condannato per corruzione (Rafael Correa) e ora in Belgio, dove ha ottenuto asilo politico, trionferà in elezioni marcate da una serie di omicidi che hanno colpito tutti i fronti politici.
La cosa che stupisce, in questo caso ma anche negli altri, è come alla fine la corruzione venga premiata dal voto popolare, come accaduto già due anni fa in Brasile. Viene da chiedersi cosa in tali circostanze spinga al voto una persona che in pratica, viste le varie e omogenee dichiarazioni dei leaders, abbia come unica speranza una povertà assoluta per il proprio futuro, finanziata da sussidi vari che sono alla fine un grande stimolo ad “accontentarsi” di una condizione miserrima, ma senza un lavoro oppure arricchendo il mercato di quello in nero. In pratica assistiamo, specie nei Paesi dove il potere populista è fortissimo, alla trasformazione del concetto di democrazia in un falso che di esso è travestito ma si comporta da potere totalitario, dando credito ad elezioni che però non permettono molto spesso la partecipazione dei candidati dell’opposizione o indebolendo il loro potere con la violenza.
Fino ad arrivare all’estremo del Nicaragua, gestito da una coppia di dittatori formata da Daniel Ortega e sua moglie Rosario Murillo: anche loro eletti in votazioni fasulle, hanno creato un regime che è l’esatta copia in stile sudamericano di quello nordcoreano di Kim Jong-un.
Diverso è il discorso per quanto riguarda l’Argentina e lo stesso Brasile, dove l’opposizione al peronismo kirchnerista o al potere del PT in Brasile è fortissima: ma con il Paraguay, il Cile e l’enigmatico Perù, sono tuttora nel limbo di possibili sviluppi futuri che potrebbero coinvolgerli nella stessa problematica. Rimangono solo l’Uruguay, Paese di grande tradizione democratica, ed El Salvador, dove un leader di estrema destra (l’attuale presidente Nayib Bukele) sta governando il Paese con pugno durissimo ed è aspramente contestato all’estero, ma molto amato in patria, visto che sta raggiungendo risultati notevoli per un Paese ereditato al completo sbando.
Il pensiero che viene immediatamente da fare e che abbiamo già affrontato in precedenti articoli è che questa situazione di populismo estremo, nel suo concetto di base fondato sulla eliminazione della classe media espresso in maniera così spudoratamente efficace attraverso gli esempi di cui sopra, possa ad un certo punto riproporsi nel Vecchio Continente attraverso una Unione Europea che sta attraversando, come gli stessi Stati Uniti, una tempesta causata da un falso progressismo, mascherato da pensiero libertario ma nella realtà pensiero unico fortemente spinto a livello mediatico, che alla fine provocherebbe gli stessi risultati. Iniziando dal crollo economico di alcuni Paesi ormai in crisi profonda e che hanno “costretto” la Bce a prendere misure estreme ed ancor più aggravanti, per arrivare, attraverso il mantra di una falsa rivoluzione “green” e misure sempre più restrittive nei confronti del libero pensiero, alla formazione di una società che possiamo tranquillamente definire totalitaria.
La speranza è che questo cammino si possa fermare nei due continenti e questo può avvenire solo se le istituzioni democratiche, dove sono presenti, possono mantenersi vive e operanti: ma per far si che ciò accada occorre una vera partecipazione della gente perché, come diceva Giorgio Gaber (i cui messaggi solo ora vengono capiti da molti) “La libertà non è sentirsi liberi: libertà è partecipazione”.
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