La strage di Erba è uno dei casi più sconvolgenti della cronaca nera italiana, accaduto la sera dell’11 dicembre 2006 in un edifcicio della città della provincia di Como. Teatro del massacro il palazzo di via Diaz in cui persero la vita, uccise in modo brutale, quattro persone: Raffaella Castagna, il figlioletto di 2 anni Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Unico sopravvissuto alla mattanza, consumata a colpi di spranga e coltello e conclusa con un incendio, il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, poi diventato testimone chiave dell’accusa a carico dei coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi condannati in via definitiva all’ergastolo e ritenuti gli assassini in tre gradi di giudizio.
Il marito di Raffaella Castagna, Azouz Marzouk, inizialmente additato quale sospettato numero uno fu estromesso dalla rosa dei potenziali indagati perché all’estero al momento dei delitti, precisamente in Tunisia, sua terra d’origine. L’uomo da anni continua a sostenere che la coppia Romano-Bazzi sia innocente e come lui non solo la difesa dei condannati ma anche il sostituto pg di Milano, Cuno Tarfusser, che nel marzo 2023 ha depositato istanza di revisione del processo anticipando il pool di legali di Olindo e Rosa. Alla sua richiesta di rivedere le posizioni della coppia si è sommata, nell’agosto seguente, quella presentata dal tutore della stessa, l’avvocato Diego Soddu, convinto dell’estraneità dell’ex netturbino e della consorte alla strage.
Strage di Erba: cos’è successo quell’11 dicembre 2006 in via Diaz
La sera dell’11 dicembre 2006, nella corte di via Diaz a Erba, si è consumata la strage di cui ancora oggi, a distanza di 17 anni, si contina a parlare nell’alveo della querelle tra colpevolisti e innocentisti. Un caso scioccante e senza precedenti tuttora al centro di un dibattito tra chi lo ritiene definitivamente chiuso con la condanna all’ergastolo dei coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi e chi, invece, sostiene la tesi di un clamoroso errore giudiziario che avrebbe condotto in carcere, costringendoli al fine pena mai, due innocenti. Nella strage di Erba sono morte quattro persone tra cui un bimbo di appena 2 anni, massacrate, secondo la ricostruzione, a coltellate e colpi di spranga prima che nella casa di Raffaella Castagna i killer appiccassero un incendio per cancellare ogni prova. Secondo la difesa, gli assassini non sono Olindo e Rosa. Troppo ingenui e impreparati a una mattanza di tale portata. Della coppia non è stata trovata alcuna traccia sulla scena del crimine, ma a inchiodarla, per l’accusa, sarebbe stata una macchia di sangue della vittima Valeria Cherubini sul battitacco dell’auto di Romano. Un elemento, questo, che per gli avvocati che assistono Olindo e Rosa non rappresenterebbe un dato autentico a documentarne il coinvolgimento nel massacro perché potenzialmente frutto di una contaminazione in sede di rilievi da parte dei carabinieri che, dopo aver condotto una prima ispezione nei luoghi della strage, si sarebbero concentrati sul veicolo senza adottare le corrette misure per impedire di “portare” con sé eventuali residui della carneficina.
Epicentro della strage di Erba è l’appartamento di Raffaella Castagna, dove si sono consumati gli omicidi della donna, del figlio Youssef e della madre Paola Galli. I tre sarebbero stati aggrediti al buio – i killer avrebbero staccato la corrente elettrica nel pomeriggio in attesa del ritorno delle vittime – senza avere scampo. I vicini di casa residenti al piano superiore, Valeria Cherubini e Mario Frigerio, insospettiti dal fumo proveniente da sotto avrebbero tentato di avvicinarsi al pianerottolo per capire cosa stava accadendo, finendo per essere loro stessi destinatari della furia degli assassini. Valeria Cherubini è la quarta vittima della strage di Erba, suo marito si è salvato per un soffio grazie ad una malformazione alla carotide che ha impedito alla coltellata subita di ucciderlo. Dopo aver fornito una descrizione iniziale del suo aggressore totalmente diversa da Olindo Romano, suo vicino di casa, si sarebbe detto certo di averlo riconosciuto. Una testimonianza che ancora adesso, trascorsi quasi 20 anni dalla strage, non smette di essere oggetto di confronto e scontro tra la linea colpevolista e quella innocentista. Secondo la difesa dei Romano-Bazzi, i ricordi di Frigerio sarebbero stati “manipolati” e pilotati in sede di interrogatorio per consegnare alla giustizia un colpevole nel più breve tempo possibile, ma non il vero colpevole.