Quando si parla, sulla stampa europea (italiana in particolare) di Tunisia si tende a dipingere il Paese nordafricano come prossimo al collasso, condotto verso il baratro da un nuovo – il parallelismo è con Ben Ali – “dittatore”. È chiaro ed evidente che la situazione non è semplice, per la pesante eredità pregressa aggravata dalle contingenze: le importazioni di grano, da cui dipende il Paese, diventate più discontinue dopo la guerra, la progressiva svalutazione del dinaro, il peso del debito (80% del Pil) la disoccupazione intorno al 15% che spinge molti a partire. L’origine o l’aggravamento di questi problemi risale alla stagione delle Primavere arabe, che hanno tradito le promesse di rinnovamento e partecipazione popolare: il vento del cambiamento, salutato con un facile entusiasmo, non ha risolto i nodi strutturali del Paese e si è tradotto in un parlamentarismo vuoto e inconcludente.
Il sistema presidenziale
La stagione della Primavera finisce il 25 luglio 2021, con il primo congelamento dell’assemblea elettiva, a maggioranza Ennahda, imposto dal Presidente della Repubblica (ex art. 80 della Costituzione). È una transizione che merita una lettura più profonda: la Tunisia si conferma un caso, sui generis, nel mondo arabo. Protagonista indiscusso di quella che si può incorniciare come una torsione o una svolta neo-presidenziale – una “deriva autoritaria” per i più critici – è l’attuale presidente, il giurista Kaïs Saïed. Negli anni della Primavera ha contribuito alla stesura della nuova Costituzione (2014), diventa presidente grazie a un ampio e trasversale consenso battendo di netto (oltre 70%) il candidato sfidante Nabil Karoui, che godeva del sostegno francese. Questo consenso rimane stabile, in assenza di reali opposizioni e concorrenti, nonostante un quadro economico e sociale complesso.
Dall’inizio del suo mandato Saïed insiste spesso sulla sovranità e l’indipendenza del Paese, calibrando le uscite pubbliche in concomitanza con le feste repubblicane. Le lotte per la fine del regime coloniale (1956), ricordando anche il tributo di sangue pagato dal Paese, sono ancora ben radicate nella memoria collettiva. Sicuramente, Saïed è “antipolitico”, nel senso che non nutre alcuna fiducia nel sistema partitico, in special modo quello nato con la Primavera: la sua azione politica si è concentrata sullo svuotamento dei partiti e con un ritorno dei flussi di potere e decisionali verso il vertice presidenziale. Ad ogni modo, il sistema partitico a ispirazione islamica – islamico-radicale in alcuni casi – era già delegittimato e aveva perso consenso e radicamento nella società. La rimozione del riferimento religioso dalla nuova Costituzione, una delle modifiche promosse dal Presidente, non ha creato sussulti nel Paese a stragrande maggioranza sunnita, ma sempre laico, al netto della parentesi contrassegnata dal radicalismo islamico, e attento alle minoranze, come quella cristiana.
È da notare che, quest’anno, per la prima volta dopo decenni, a La Goulette si è svolta la processione della Madonna di Trapani fino al Municipio. Una festa che coinvolge da sempre tutti, in segno di una convivenza italo-tunisina e mediterranea. In tempi di migrazioni, come ha notato l’arcivescovo di Tunisi Ilario Antoniazzi, “la Vergine, nell’altro secolo, compì il viaggio inverso, dalla Sicilia alla Tunisia con i pescatori siciliani che portarono con loro, nelle loro barche da pesca, una statua della Madonna di Trapani”.
Bilancio e migranti
Da molto tempo e senza progressi concreti è al vaglio la possibilità di ricevere un cospicuo finanziamento da parte del Fmi, legato indissolubilmente alla realizzazione di alcune riforme. I negoziati, che potrebbero portare a un prestito di 1,9 miliardi, sono in fase di stallo dalla fine del 2022 perché il Presidente non sembra intenzionato a rispettare quelle che a suo dire sono delle imposizioni, come il taglio dei sussidi statali (in euro, circa 1,3 miliardi nel 2022) che compensano i redditi bassi e la ristrutturazione di molte aziende a partecipazione pubblica. Nel frattempo, stante la debordante pressione migratoria, l’Unione Europea ha iniziato a guardare dall’altra parte dello Stretto di Sicilia, cercando di sostenere la Tunisia.
Anche grazie alla sostanziale spinta del governo italiano, la Ue e la Tunisia hanno raggiunto un accordo per un “partenariato strategico globale” fondato – sono parole di Ursula von der Leyen – su cinque pilastri, “stabilità macroeconomica, commercio e investimenti, transizione energetica verde, riavvicinamento delle persone, migrazione e mobilità”. L’accordo prevede lo stanziamento di 105 milioni di euro come aiuto per contrastare l’immigrazione irregolare e di 150 per il bilancio tunisino. Più di recente, Manfred Weber ha rimarcato la necessità di un approccio “umanitario” ma severo, che si dovrebbe tradurre in tutela dei diritti dei migranti ma anche controllo delle frontiere.
Al momento, i risultati non sono soddisfacenti – le immagini e le testimonianze dei migranti al confine tra Tunisia e Libia sono terribili – ma l’accordo deve essere ancora pienamente implementato. In questo modo, di fronte alle ondate migratorie, Saïed dimostra di essere funzionale anche se i problemi strutturali del Paese, dalla poca diversificazione all’assenza di un sistema di collegamenti strutturali, sono pesanti.
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