I cosiddetti grandi (Cina, Usa, Europa) manifestano tutti la loro debolezza. Anzi, alla fine il G20 è stato una somma di debolezze, in cui anche nella dichiarazione sulla guerra in Ucraina non si è andati al di là di una presa di distanza dall’uso della forza, senza citare la Russia come aggressore. Chi tiene oggi sono l’India e l’Africa, potrebbero essere loro i nuovi vincenti. Ma il futuro, vista la crisi della Cina (che Xi potrebbe pagare caro in termini di potere) e la situazione degli altri Paesi finora protagonisti, non fa presagire niente di buono. Anche se ci sono troppe variabili in atto per dire cosa succederà.
Mario Deaglio, professore emerito di economia internazionale nell’Università di Torino, l’esito del G20 tenutosi in India lo giudica così: Pechino alle prese con una bolla immobiliare che fa tremare le economie di mezzo mondo e in difficoltà nel dare un futuro ai suoi giovani, Washington incapace di indirizzare la politica mondiale come prima e Bruxelles non in grado di elaborare strategie, ma capace solo di barcamenarsi in una situazione in cui manca una vera guida politica. Chi sta emergendo ora, al di là dei continui golpe che la segnano, è l’Africa.
Professore, come possiamo giudicare il G20 appena concluso? Secondo il ministro degli Esteri russo Lavrov per la Russia e per l’India è stato un successo. E per gli altri?
Partirei dalla Cina. Ha già sostanzialmente abbandonato la Via della Seta. C’è stato un momento in cui non faceva altro che fare prestiti ai Paesi africani, da restituire in 30 anni con pagamenti in materie prime. Non ha funzionato più di tanto e da diversi anni il Governo cinese ha ridotto i fondi per la Via della Seta, mantenendo quello che aveva realizzato, ma senza cercare ulteriori espansioni o cercandole in maniera limitata. Ha fatto un passo indietro nella confusa situazione del primato mondiale.
La crisi cinese potrebbe avere anche conseguenze politiche interne?
Lo sapremo tra un paio di mesi quando ci sarà la seduta del Congresso del Partito comunista cinese, dove si vedrà se Xi Jinping sta perdendo il suo posto. I giovani hanno un tasso di disoccupazione del 20%, simile a quello italiano, con la differenza che lì i ragazzi hanno studiato molto duramente all’università e alle scuole superiori per poi fare lavori come il facchino. Pechino ha problemi di domanda interna e di domanda estera, di Borsa che non tiene, di collasso del settore immobiliare. Ci sono queste città semicostruite, semivuote, che hanno inghiottito i risparmi di decine di milioni di cinesi. Dal punto di vista economico la Cina è in testa ai malati.
Alla Russia, invece, non è stata addebitata neanche la guerra in Ucraina. Un punto per Mosca?
Per quanto riguarda la Russia ha ragione Lavrov: tutti gli occidentali si sarebbero aspettati una condanna della Russia. Ma noi facciamo male i conti. Basta guardare i 20 Paesi presenti e quanta popolazione rappresentano: vediamo che la nostra visione totalmente pro Ucraina non corrisponde alla visione dei governi del mondo. Solo una parte è nettamente schierata. Il tema della guerra non è centrale a livello mondiale. Il conflitto russo-ucraino è importante per noi, ma non riveste questa importanza a livello internazionale.
Gli Usa sono messi meglio?
In questo contesto di non-successi il terzo Paese che brilla per la sua debolezza sono gli Usa. Il G20 avviene in un momento in cui le polemiche interne sono molto forti, riguardano Trump ma anche il figlio di Biden. I due vegliardi si contendono un primato nei loro partiti che nessuno ha ancora dato loro. Confusione totale anche lì. Che si riflette in stati come quello di New York, dove il sindaco ha lanciato l’allarme per gli 800mila rifugiati che sono arrivati in una città abituata ad accogliere, ma non a questa velocità: non ci sono alloggi e servizi. Sembra peggio dell’Italia.
Quali rifugiati, gli ispanici che provengono dai Paesi dell’America latina?
Sì. Quelli che hanno passato le barriere di filo spinato che Trump aveva messo e Biden non ha tolto. Uno degli aspetti in continuità della politica americana, come l’antagonismo con la Cina. Biden è solo più gentile e formale nel proporlo.
A queste debolezze si aggiunge quella dell’Europa?
Quanto agli europei, nessuno ha mosso ciglio sui nostri giornali perché il ministro della Difesa inglese si è dimesso dalla mattina alla sera. La causa principale è che il premier è preoccupato che il suo partito non tenga alle elezioni. Le posizioni di governi deboli che vediamo in Italia si rispecchiano con varianti nazionali in tutti i grandi Paesi europei: la Spagna che non riesce a formare un governo, la Francia che ha fatto un rimpasto, la Germania dove il governo è sostanzialmente fermo, gestisce le situazioni ma non va avanti perché ci sono partiti troppo diversi, che riescono a trovare convergenze solo sulle emergenze.
L’esito del G20, quindi, è abbastanza deludente. Non si è riusciti a fare una sintesi della situazione proprio perché ci sono troppe debolezze che si sommano?
In qualche modo i Paesi del Sud del mondo le intese su alcuni punti le stanno cercando attivamente. Ma non sono ancora mature neanche lì. India e Cina hanno questi progetti abbozzati di sostituire il dollaro come moneta dominante del commercio internazionale con una nuova moneta. Nel quadro generale l’unica cosa che tiene è un accordo in cui non c’è al centro la Cina come tale, ma cinque o sei Paesi che hanno già una specie di istituto bancario pronto, pur senza averlo tirato fuori.
Chi sono questi Paesi?
I Brics e i nuovi Brics.
Nella sostanza chi ne esce meglio adesso sono i Brics senza la Cina?
In questo momento sì. L’India è il Paese che tiene meglio, nonostante le tensioni interne. Il Sudafrica è l’unico Paese al mondo in cui bianchi e neri, con grandissima fatica, in mezzo a casi evidenti di corruzione, tengono. I boeri non vogliono più riconquistare il potere: c’è sempre una situazione di semiaccordo in cui si va avanti. Tutto in un contesto mondiale in cui i Paesi del Sud cercano di far per conto proprio.
Il ruolo più da protagonista dell’Unione africana al G20 va in questa direzione?
Sì. Non solo. Il Sudafrica in campo finanziario sta lanciando iniziative che non vengono pubblicizzate, come gli enti di valutazione delle Borse dei Paesi africani. Il Sudafrica è un Paese di imprese di elettronica, di telecomunicazioni, molto diffuse nel continente. Gli accordi panafricani per il commercio stanno andando avanti. Noi guardiamo solo i colpi di Stato, ma c’è anche questo. I Paesi africani scambiano tra di loro molto di più di quanto abbiano mai fatto.
Tenendo conto di questa lettura e della preoccupante situazione della Cina, che negli ultimi vent’anni è stato uno dei motori dell’economia mondiale, cosa ci dobbiamo aspettare?
Non lo so. Ci sono troppe variabili in movimento. Cito solo due fatti. Il primo è la borsa di Hong Kong che chiude per allagamento di tutta la città: sono caduti 180 millimetri di pioggia nel giro di pochissime ore. Un fatto simbolico: se non facciamo i conti con le variazioni climatiche perdiamo una parte importante del problema e quindi una parte della soluzione. L’altro è il terremoto in Marocco: un altro fatto simbolico. Le montagne che si sono mosse si chiamano Atlante e nella mitologia greca Atlante sorreggeva il mondo. Se chi sorregge il mondo crolla o sobbalza le cose non vanno bene. Non abbiamo davanti un orizzonte tranquillo. Che poi noi riusciamo a stare a galla con i nostri 0,6 e 0,7% di Pil è possibile. Galleggiamo. Speriamo di andare avanti, ma i nostri orizzonti sono molto a breve termine.
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