È un dato di fatto che la svolta massimalista impressa al Pd dalla segretaria Elly Schlein non sta portando i risultati sperati agli ex ulivisti. La caduta di consenso suscita un discreto mal di pancia negli iscritti, che si erano espressi inequivocabilmente per Bonaccini. La segretaria dem incarna un profilo liberal che risulta troppo estremo per una buona parte dell’elettorato Pd. E i risultati delle ultime elezioni lasciano supporre che le cose peggiorino nelle future tornate elettorali. Sono state riportate da tutti i giornali le parole di Nicola Zingaretti: “Con questa non prendiamo neanche il 17”.
Molti al Nazareno rimpiangono di aver permesso l’elezione del segretario da parte dei passanti ai gazebo. Volendo produrre spiccioli di revisione storica è facile dire che la vittoria della segretaria alle primarie si poteva facilmente prevedere per la sua vicinanza alle “Sardine”. Un movimento molto attivo in rete, capace di mobilitare con la sua propaganda utopica e massimalista un gran numero di persone e di portarle ai gazebo delle primarie. Con la loro mobilitazione le sardine avevano scongiurato la sconfitta e messo Bonaccini in sella a Bologna. Il Pd aveva premiato il movimento con un posto per la Schlein al vertice della regione.
Il partito, sottovalutando le Sardine, infine aveva permesso a Schlein di correre alle primarie. Scommettendo sulla sconfitta della sardina, il Pd sperava di ripagarla gratis. Ma gratis è solo il formaggio nella trappola per topi. Schlein, infatti, ha vinto le primarie con circa un milione di voti dei non iscritti. Da allora per i dem piove sempre sul bagnato. Trenta esponenti liguri, anche questo è noto, tra cui la consigliera genovese Cristina Lodi e il consigliere regionale Pippo Rossetti, in disaccordo con Elly Schlein, hanno lasciato il Pd verso Azione di Calenda, allungando la lista dei fuoriusciti a causa del malumori col Nazareno specialmente, ma non unicamente, in quelli di Base riformista.
Il 27 febbraio, subito dopo le primarie della Schlein, il primo big a togliere le tende fu il cofondatore del Pd Beppe Fioroni, ex ministro nel governo Prodi, ex consigliere ministeriale nel governo Draghi, parlamentare, già sindaco di Viterbo. Fioroni lasciò la compagine vedendo nel nuovo corso la marginalizzazione della componente popolare del Pd. In seguito ha mollato Andrea Marcucci. Poi ha lasciato Enrico Borghi verso Italia viva. Caterina Chinnici, figlia del giudice Rocco Chinnici, vittima della mafia, è approdata in Forza Italia ritenendo la Schlein troppo “a sinistra”. L’economista Carlo Cottarelli, già direttore esecutivo del Fmi, presidente dell’Osservatorio dei conti pubblici, ha lasciato il Parlamento per tornare a insegnare alla Cattolica di Milano. Alessio D’Amato, candidato presidente della Regione Lazio, sconfitto da Francesco Rocca, aveva digerito male l’alleanza romana con i grillini. D’Amato ha lasciato il Pd ed è approdato ad Azione, denunciando la subalternità verso il partito di Giuseppe Conte. Schlein si è dichiarata dispiaciuta per la grande fuga, affermando però: “chi lascia il progetto ora ha sbagliato direzione all’inizio”. Con l’avvento di Schlein il Pd di fatto ha abbandonato la “vocazione maggioritaria”, il “tutti insieme pur che sia” del passato. Tutti ci ricordiamo il “Sì, ma anche” di Veltroni, che di fatto aveva segnato una discontinuità nella storia del Pd, impedendo una linea di governo concreta ed univoca.
Ora la segretaria dem sta girando l’Italia parlando di fascismo incombente, diritti civili e salario minimo per legge come obbiettivi politici, mentre il Pd accentua il suo profilo di una testa di ponte Woke nella Penisola candidandosi a rappresentare una fetta ultra minoritaria di consenso. Tutto questo ha provocato l’esodo di tutte le componenti moderate e riformiste. Un po’ come la famosa birra americana che voleva essere inclusiva con una pubblicità rivolta ai gender. L’azienda si è inimicata la classe operaia che era il suo mercato di riferimento e le sue vendite sono crollate.
Resta da capire chi banchetterà sul cadavere elettorale del vecchio Ulivo scippando quote di elettori. Ci proveranno prima di tutto i pentastellati di Giuseppe Conte, che rivendicano il marchio registrato del pauperismo e dell’assistenzialismo di scambio. Più di tutti però è Matteo Renzi a cercare di insinuarsi nel malcontento dei dirigenti dem. Vuole recuperare il suo pacchetto di voti in libera uscita e dare corpo e consenso alla sua nuova creatura, “Il Centro”, in vista delle prossime tornate elettorali.
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