La Ue innalza la soglia di energia da produrre con le rinnovabili: dal 32% al 42,5%. Questa dovrà essere, secondo quanto stabilito dal Parlamento europeo (Ppe a favore, sì di FI; Lega contraria, FdI astenuti) la quota vincolante di rinnovabili nel consumo finale entro il 2030. Il provvedimento è arrivato con una votazione a grande maggioranza, con 470 favorevoli e 120 contrari (40 astenuti) e si inserisce nel solco di quelli già presi sotto la guida dell’attuale Commissione europea, a partire dal Green Deal e dal RePowerEu. Un modo per alzare per l’ennesima volta l’asticella della transizione ecologica che però lascia quantomeno perplessi sulle modalità di attuazione e sulle conseguenze che avrà per i consumatori in termini di costi. Lo spiega Alberto Clò, già ministro dell’Industria del governo Dini e dal 1984 direttore della rivista “Energia”.
Cosa significa l’innalzamento della soglia di energia da produrre con le rinnovabili varato dal Parlamento europeo?
È una boutade. Dicano piuttosto perché l’eolico offshore sta facendo flop in Europa, soprattutto in Gran Bretagna. C’è stata un’asta che è andata deserta. Innalzare l’asticella non serve. Non si riesce a saltare 1.20, allora si alza a 1.50 spostando di qualche anno l’obiettivo. Siamo di fronte a una Commissione che sta tirando gli ultimi respiri e prende provvedimenti senza alcuna consapevolezza, senza chiedersi se sia fattibile ciò che propone. Non ci sono degli studi, sono semplicemente livelli simbolici. Non si sa neanche quali siano le condizioni necessarie perché si possa realizzare. Sono decisioni estemporanee.
Perché allora si sono incamminati su questa strada?
Ursula von der Leyen ha detto che da qui alla fine del mandato ci sono decine di provvedimenti che devono essere varati, ma sono decisioni campate per aria. Dicano, invece, perché le rinnovabili hanno avuto tutta una serie di ostacoli dovuti non alla lentezza dei processi autorizzativi ma all’aumento dei costi, alle interruzioni delle supply chain e alla scarsità di materiali critici di cui le rinnovabili necessitano. Decidere di innalzare i target è una decisione estemporanea fondata sul nulla.
Quali sono nello specifico le difficoltà che incontra il mercato delle rinnovabili?
L’eolico sta avendo grandi difficoltà: le ultime aste in Gran Bretagna sono andate deserte, perché le rinnovabili, checché se ne dica, necessitano di incentivi. Le aste fissano dei prezzi, non li fissa il mercato. Sono andate deserte perché sono stati fissati prezzi troppo bassi. Bisogna che la Commissione o il Parlamento, individuando questi obiettivi, avvisino anche i consumatori che questa decisione avrà un impatto sui prezzi. I consumatori sono anche elettori e alla scadenza delle elezioni potrebbero farsi sentire; è un orientamento che già si vede in Germania e anche in altri Paesi, compreso il Nord Europa con Svezia e Finlandia. Commissione e Parlamento sappiano che più decidono in questo senso più è possibile che alle prossime votazioni i cittadini li mandino a casa.
Il relatore della direttiva Markus Pieper del Ppe parla di ricorso alle rinnovabili a tutto campo: eolico, fotovoltaico, geotermico, biomasse di legno. È solo un libro dei sogni?
Sono operazioni decise dalla politica non si basano su considerazioni economiche ed esigenze di mercato. Operazioni politiche i cui effetti si riverseranno sulle tasche dei consumatori. I prezzi aumenteranno. Ultimamente è successo questo, che non si producono rinnovabili perché c’è una domanda, ma perché c’è molto sole e molto vento. In questi giorni in Germania c’è poco vento e i prezzi stanno crescendo. Ma è accaduto anche che ci sia stato un eccesso di offerta delle rinnovabili, con i produttori che sono stati costretti a vendere a prezzi negativi, a regalare l’elettricità senza alcun ricavo, il che riduce la loro redditività.
Dal punto di vista delle imprese l’innalzamento della soglia e in generale la politica green della Ue cosa significa?
Bisogna vedere a che condizioni economiche questo innalzamento a riesce a realizzarsi, se comporta un innalzamento dei costi e dei prezzi. L’Europa ha prezzi dell’energia molto più alti degli Usa e della Cina per effetto delle nostre scelte, non dei russi. Dobbiamo vedere l’impatto delle scelte sulla competitività della nostra economia e delle imprese, non prendere decisioni a prescindere. Mancano i presupposti di conoscenza e decidere senza conoscere non è un buon viatico per ottenere risultati.
Sempre secondo Pieper ora bisognerò riformare il mercato elettrico e sostenere il passaggio all’idrogeno. Due obiettivi perseguibili?
Sarà molto difficile arrivare a un consenso, perché ci sono posizioni molto diverse tra i vari Paesi. Anche sulla riforma del mercato elettrico si può dire che l’Unione Europea sia tutt’altro che unione. È una disunione, perché ogni Paese vuole andare per i fatti suoi.
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