Forse è la scuola che ci ha purtroppo abituato a circondare ogni opera – o meglio ogni argomento – di un mare di parole, ed ecco che ci si presenta qui un terribile paradosso, dal momento che invece di appassionarci, non solo ottiene l’effetto contrario, ma fatto ancora più grave forma in noi una mentalità per cui senza un precedente “discorso” non ci sentiamo adeguati nel procedere, non siamo in grado di formulare in non stessi la domanda “che cosa sto guardando?”, non siamo portati a incuriosirci di un autore a noi sconosciuto.
Ma la scuola serve a far in modo che uno studente sappia tutto, oppure che abbia gli strumenti per imparare tutto? Al riguardo non ho alcun dubbio, tanto più che sovente questo “sapere tutto” si riduce a delle nozioni, e non sfiora certo la ricerca del significato, del perché, che sarebbe invece l’unica cosa che vale la pena trasmettere. La storia dell’arte è un magnifico problema, e come tale andrebbe posto ai nostri studenti, stimolando in loro la formulazione di personali ipotesi interpretative, a partire dai dati formali che hanno davanti: vederli compiere lo sforzo di argomentare, trasformando la loro reazione epidermica in frasi di senso compiuto è un vero godimento educativo, molto più utile della più bella e sicura lezione frontale, perché li porta a fare qualcosa che non succede abbastanza spesso, ossia ragionare. Il mio personale tentativo è tutto concentrato qui, e ha solo due condizioni: la fiducia nelle capacità dei ragazzi e il totale disinteresse al completamento del programma.
Su questo secondo aspetto tutti gli insegnanti delle superiori si sentono ricattati da quella farsa cartacea che chiamiamo esame di maturità (a quando l’abolizione?), quasi che fossero loro ad essere sotto esame, perché se “i miei studenti non sanno tot, allora tutti penseranno che non sono un bravo insegnante”: un’equazione disgustosa per ambo le parti in causa, condita o da un mal riposto senso di colpa o da un altrettanto superfluo narcisismo. La soluzione è il problema: per far sì che gli studenti sappiano tutto di un argomento, non si riescono ad esaurire gli argomenti; mentre sarebbe molto più interessane fornire loro le chiavi di lettura e sfidarli a verificarle davanti alle opere, così che possano inquadrare anche ciò che non conoscono in un sentimento del tempo, e questo anche in vista di come è fatto oggi (domani chissà) l’esame orale.
Altro aspetto in cui si intrecciano condizioni storiche e abitudini didattiche è quello dell’impostazione cronologica delle materie dato dalla centenaria riforma Gentile, ma non è detto che non si possa uscirne; perché ad esempio non spiegare l’arte classica a partire dalle installazioni di Giulio Paolini? O fare un excursus sul concetto di classico che parta dai greci, passando per le citazioni pop di Tano Festa e Giosetta Fioroni per approdare ai monumenti di Marc Quinn o alle sculture disegnate di Andrea Mastrovito? Non sarebbe peregrino e aiuterebbe i nostri giovani allievi a capire di più il valore dell’arte antica, a fissare e distinguere i periodi, oltre a far loro assaggiare un gusto nuovo, così che si scandalizzino un poco meno quando incontreranno opere d’arte contemporanea.
Senza contare che gli argomenti che trattiamo alle superiori possono essere per loro dei déjà-vu delle scuole medie, perché così vuole la nostra Gentile vecchietta: dato che il liceo è “La Scuola”, si ricomincia (quasi) tutto daccapo e per benino, e così si ha un po’ l’impressione che i cicli inferiori non abbiano una loro vera caratterizzazione data dall’età a cui si rivolgono, ma facciano un po’ la brutta copia del livello che li segue. L’assetto cronologico dell’insegnamento dell’arte andrebbe scardinato soprattutto alle medie, dove a maggior ragione lo scopo culturale viene praticamente a coincidere con quello educativo, e qui non hanno valore tanto le date o le analisi formali, quanto i legami che gli studenti riescono a instaurare con ciò che gli poniamo innanzi: tutti i mezzi sono validi, pur di dare risposte efficaci alle domande “Come appassionarli a questo argomento? Come far sì che non perdano la curiosità per questa materia?”. Per riuscirci la nostra amata arte, e con lei tutta la nostra erudizione, deve fare un bel bagno di umiltà, piegandosi, storcendosi, adattandosi continuamente nelle forme e nei modi per andare incontro a quelle menti e a quei cuori: è un lavoro didattico profondo, che trasforma e allarga la nostra concezione della disciplina.
Il ciclo secondario di primo grado andrebbe a mio avviso completamente ripensato, ma si potrebbe almeno iniziare con aumentare le ore di laboratorio, dato che ad oggi in quelle tre ore ci sono tre materie: storia dell’arte (appunto), educazione artistica ed educazione tecnica. Non dobbiamo infine dimenticare che tutta la scuola è impostata su un modello militare inventato dalla Prussia, come ci ricorda in maniera brillante Matt Ridley nel suo The Evolution of Everything: How New Ideas Emerge (Harper, 2015): in quel modello lo scopo non era quello di formare individui pensanti, ma soldati ubbidienti, così che perfino l’ambiente era pensato per scoraggiare ed eludere qualsiasi iniziativa personale – figuriamoci la creatività –, soffocandola in un egualitarismo livellante, a cominciare dalla suddivisione in età, passando alla scansione della giornata in tante frazioni di argomenti ritmati dalla campanella, per arrivare all’anonimato della struttura, fino al fatto di essere seduti, in banchi posti in file e colonne ad angolo retto: siamo ancora lì. Alcune scuole stanno cercando di cambiare questo stato di cose, costruendo ambienti che possano favorire l’apprendimento, e questo potrebbe essere utile, se siamo disposti a modificare anche le nostre modalità di lezione (cioè le nostre priorità in termini di risultato finale).
I problemi dell’arte al liceo non sarebbero certo finiti qui: è difficile immaginare una valorizzazione delle materie artistiche nei vari livelli e una ristrutturazione del sistema scolastico a partire da queste, se anche al liceo artistico – che dovrebbe essere l’apice di questa educazione – vengono dimezzate le ore laboratoriali caratterizzanti il percorso seguendo l’unico criterio di revisione della spesa, come avvenuto tramite l’ultima sciagurata riforma Gelmini. Se al fondo dell’azione politica c’è questa concezione, anche solo pensare all’aumento del monte ore di arte e di disegno alle medie e alle elementari (assai scarso) o negli altri indirizzi di scuola superiore (quasi zero) rimane un’utopia.
Ci sono poi i problemi che riguardano la scuola in generale, a cominciare dalla rigidità del sistema e alle modalità di reclutamento dei docenti, passando dal valore legale e finendo con il modo idiota con cui è strutturata l’educazione civica, che per questo diviene frequentemente un’incubatrice di luoghi comuni, ma andremmo fuori tema e l’amarezza avrebbe il sopravvento. Come si vede il tema non sono le singole materie, perché queste sono innestate in un sistema che andrebbe ripensato nella sua totalità, a partire dai primi livelli; quando uno studente arriva alle superiori molto è già formato in lui, come preferenze, pregiudizi, attitudini e concezioni, difficilmente modificabili: è necessario correggere la traiettoria assai prima, capendo che il tema artistico è un processo di conoscenza e di rapporto con la realtà, e che da come lo trattiamo dipende non solo il nostro rapporto con l’arte, ma tutto il successo formativo.
(2 – continua)
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