Un problema tipicamente italiano è avere sempre gli stessi problemi che si ripresentano periodicamente. Proliferano dichiarazioni, indignazioni, interrogazioni, articoloni, propostone di legge… Le questioni, stancamente, si ripetono sempre. Ogni anno (ri)saltano fuori la mancata liberalizzazione dei taxi, la commedia delle concessioni per gli stabilimenti balneari, le carceri che scoppiano, la scarsa manutenzione delle opere pubbliche, la sanità che perde colpi (l’esperienza di Covid evidentemente non ha insegnato nulla, sarà per la prossima pandemia)… Sono esempi di questioni che comunque il cittadino consumatore conosce e rispetto alle quali, attingendo dalla vastità dei mezzi di informazione, può farsi un’idea.
Ci sono poi problemi di cui il consumatore percepisce solo l’aspetto superficiale. Vede la punta dell’iceberg, ma ignora cosa ci sia sotto. Pensiamo, per esempio, al trimestre dedicato alla lotta all’inflazione: il ministro Urso ha coinvolto le imprese commerciali e le industrie che producono beni di consumo in un’ampia operazione che ha come obiettivo il contenimento dei prezzi. Un’opera che nella percezione generale appare senza dubbio meritoria se consideriamo il basso potere d’acquisto dei salari. In base a quello che si sa – a oggi perlomeno – i prodotti che contribuiranno a calmierare il costo della vita saranno segnalati da un apposito marchio, probabilmente posto accanto al cartellino segnaprezzo posto sullo scaffale dei punti di vendita aderenti all’iniziativa.
Sul piano della comunicazione pubblica le cose si presentano facili, ma se entriamo nel merito del problema sotteso, cioè della dinamica delle relazioni commerciali, che sono basate anche sull’esercizio di rapporti di forza tra chi compra (il commerciante) e chi vende (il fornitore), la questione si complica. Secondo le informazioni che sono circolate sui giornali, ogni singola azienda (catena di supermercati, farmacie, piccolo negoziante…) deciderà in autonomia (nel rispetto delle norme antitrust) se aderire al “Trimestre Anti-inflazione” e il paniere di prodotti che potranno fregiarsi del logo attribuito dal ministero. I produttori, secondo lo stesso principio di autonomia e volontarietà, potranno decidere se partecipare all’iniziativa e con quali prodotti.
Dopodiché si presentano gli interrogativi. Immaginiamo che un’azienda A produttrice di carne in scatola, per far tornare i conti (che purtroppo spesso non tornano) avesse deciso a giugno di togliere a partire da ottobre lo sconto su un certo articolo, che veniva concesso contrattualmente alla catena di supermercati B. Supponiamo poi che venuto a conoscenza del lancio del “Trimestre Anti-inflazione” il produttore decida di aderire mantenendo lo sconto che aveva deciso di togliere, quindi rinunciando al conseguente guadagno per mantenere il prezzo contenuto. La domanda è: il supermercato (o il farmacista, o il piccolo negoziante) accetterebbe di fregiarlo del bollino tricolore di impresa virtuosa? A occhio non penso, ma posso sbagliare.
Altro esempio: un produttore X di marmellate decide di ridurre di una certa percentuale il prezzo della confettura di ciliegie e si propone alla catena di ipermercati Y, che però nel suo paniere ha già attribuito il marchietto di Stato alla stessa referenza di un altro fornitore e quindi non accetta la proposta. In entrambi gli esempi troviamo fornitori virtuosi, che vanno nella direzione auspicata dal “Trimestre anti-inflazione”, ma non potendo (per motivi indipendenti dalla loro volontà) fregiarsi del logo anti-inflazione rischiano di essere discriminate sullo scaffale rispetto ad altre aziende che sono riuscite ad averlo.
Una domanda sorge spontanea: poiché il bollino orienterà le scelte del consumatore, visto il quadro, non finirà per falsare la dinamica della concorrenza?
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