Punto di riferimento dell’ormai scomparso Pci, Gianni Cervetti spegne oggi 90 candeline e ha ripercorso il suo cammino politico in una lunga intervista ai microfoni del Corriere della Sera. Il passggio più importante riguarda la Nato e Berlinguer, con la giusta presa di distanze dall’Urss e dall’involuzione brezneviana: “Io ero a Mosca con il segretario del partito quando deflagrò lo strappo dopo l’intervista di Pansa al Corriere. Parlò al congresso del Pcus e nella sala si alzò un brusio. Uscimmo insieme: è giusto così, gli dissi. Berlinguer aveva ragione”.
Cervetti si è poi soffermato sullo stop ai finanziamenti, la parola fine ai rubli arrivati da Mosca: “Non era incoerenza, era la svolta per non subire più l’influenza sovietica nella politica del Pci. La riunione decisiva avvenne verso la fine del 1975. Eravamo in tre: Chiaromonte, Berlinguer ed io. Ci trovammo in segreto alla Camera per stare lontano da orecchie indiscrete. Proposi di chiudere quei rubinetti…”. Una scelta che continua a rappresentare un fatto storico, ha rimarcato: “Non a caso la visione europeista di Berlinguer portò alla candidatura nel Pci di Altiero Spinelli, uno dei padri degli Stati Uniti d’Europa”.
La versione di Cervetti
Soffermandosi sulla guerra in Ucraina, Cervetti ha spiegato che è stato giusto difendere Kiev perchè Mosca ha le colpe maggiori, anche se pure gli ucraini hanno qualche responsabilità: “Bisogna lavorare tutti per una conclusione positiva di questa guerra insensata”. Tornando alla sinistra, Cervetti ha puntato il dito su un errore fondamentale commesso, ossia non essere stata coerente nell’organizzare un partito di massa: “Espressione un po’ datata per dire che se una forza vuole essere democratica e riformista deve anche essere estesa come un guanto che aderisce alla mano. La mano è la società”.