Il 7 ottobre 1985, un commando di terroristi palestinesi dirottò la nave da crociera italiana Achille Lauro al largo delle coste egiziane, con a bordo oltre 400 persone, e uccise Leon Klinghoffer, un passeggero americano di origine ebraica costretto su una sedia a rotelle che fu assassinato e gettato in mare. Il caso divenne terreno di una storica crisi diplomatica tra Italia e Stati Uniti, protagonisti l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi e l’allora capo della Casa Bianca Ronald Reagan. La vicenda dell’Achille Lauro finì al centro di un livido scambio di pareri tra Roma e Washington, quando Craxi disse no all’America che chiedeva la consegna del gruppo di criminali alla giustizia oltreoceano.
Fu uno dei nodi più aspri della storia del sequestro dell’Achille Lauro e si consumò sul suolo della base NATO di Sigonella, in Sicilia, in una notte densa di tensioni che rischiò di portare i due Paesi allo scontro armato. I dirottatori, membri del Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP), chiedevano la liberazione di 50 palestinesi detenuti in Israele, furono individuati in Bassām al-ʿAskar, Aḥmad Maʿrūf al-Asadī, Yūsuf Mājid al-Mulqī e ʿAbd al-Laṭīf Ibrāhīm Faṭāʾir. Sulla nave, ritenuta una delle imbarcazioni più belle del mondo con alle spalle una storia travagliata, trasportava 201 passeggeri e 344 membri di equipaggio. Le concitate trattative diplomatiche, complici l’intercessione dell’Egitto, dell’OLP di Arafat e di uno dei negoziatori inviati da quest’ultimo, Abu Abbas, inizialmente sembrarono concludersi con la resa dei terroristi in cambio della promessa dell’immunità e con l’ok a un volo che li conducesse a Tunisi. L’Achille Lauro, liberata, fu diretta verso Port Said per attraccarvi il 10 ottobre. Ma non era finita.
Il sequestro dell’Achille Lauro e la notte di Sigonella
Il dirottamento dell’Achille Lauro fu un atto terroristico che rischiò di portare allo scontro armato Italia e Stati Uniti nella notte di Sigonella, diverse ore dopo la conclusione del sequestro della nave e l’omicidio di uno dei passeggeri da parte del commando di palestinesi scoperto due giorni dopo. Un delitto che provocò la reazione della Casa Bianca. L’11 ottobre 1985, alcuni caccia statunitensi intercettarono il Boeing 737 egiziano che, secondo gli accordi con i negoziatori, stava trasportando i dirottatori e lo stesso Abu Abbas in Tunisia. La mossa americana costrinse il velivolo a dirigersi verso Sigonella, in Italia, dove Craxi avrebbe dato l’autorizzazione all’atterraggio poco dopo la mezzanotte.
Ma l’allora presidente del Consiglio italiano si oppose all’intervento americano e alla consegna del commando alle autorità statunitensi, chiedendo il rispetto del diritto internazionale e rivendicando la competenza italiana nella gestione del caso. Fu la più grave crisi diplomatica tra Italia e USA del dopoguerra. Dopo diverse ore, gli Stati Uniti rinunciarono ad un attacco all’aereo e il gruppo di terroristi fu preso in consegna dalla polizia e condotto nel carcere di Siracusa. Washington chiese poi nuovamente la consegna di Abu Abbas, ma il Boeing egiziano fu trasferito a Fiumicino dove quest’ultimo e il secondo mediatore OLP sarebbero stati fatti salire a bordo di un altro velivolo. “Nel corso della notte – riferì alla stampa Craxi sulla crisi di Sigonella – il presidente Reagan mi ha nuovamente chiesto di poter trasportare negli Stati Uniti il gruppo di terroristi per sottoporli alla giustizia americana. Io a mia volta ho fatto presente che i reati sono stati commessi in territorio italiano e quindi la giurisdizione appartiene all’Italia“. La Casa Bianca inviò poi una formale richiesta di arresto ed estradizione per Abu Abbas ritenendolo coinvolto nel dirottamento, ma per l’allora ministro della Giustizia italiano, Mino Martinazzoli, non c’erano i presupposti sufficienti. Il tutto mentre sul fronte interno al governo Craxi si innescava una feroce polemica per la linea tenuta dal presidente del Consiglio, che sarebbe sfociata nelle dimissioni di alcuni ministri.Negli anni successivi, i terroristi furono processati e condannati. Abu Abbas, in quel momento ritenuto ancora un mediatore e non coinvolto nell’operazione Achille Lauro, ripartì da Roma e si sarebbe diretto a Belgrado. Solo in seguito, la sua posizione fu rivista alla luce di intercettazioni che avrebbero provato il suo ruolo nel sequestro. Finito sotto accusa, fu condannato in contumacia come mandante. Nel 2003, le forze statunitensi lo avrebbero catturato in Iraq e, secondo quanto ricostruito, sarebbe morto in carcere un anno più tardi.