Un’indagine sui sussidi statali cinesi per la produzione delle auto elettriche. Dopo anni in cui Pechino ha sviluppato la sua industria del settore proprio grazie a questo tipo di sostegno, finalmente anche l’Unione Europea si è posta il problema della concorrenza sleale, del dumping che danneggia le imprese del vecchio continente. Tanto che Ursula von der Leyen ha annunciato una serie di accertamenti da parte della Ue per verificare se le aziende cinesi di questo comparto usufruiscano effettivamente di questi aiuti.
Un’iniziativa tardiva, per molti, dopo che le stesse aziende cinesi hanno acquisito grosse fette di mercato, apprestandosi a inondare quello europeo e soprattutto dopo che la stessa Ue ha stabilito che dal 2035 verranno prodotte solo auto elettriche, con l’unica eccezione, per ora, di quelle a combustibile sintetico.
Di fronte alla decisione europea, spiega Pierluigi Bonora, giornalista de Il Giornale, esperto del settore auto, i cinesi non staranno con le mani in mano. Una volta accertata l’esistenza dei sussidi potrebbero essere imposti dei dazi dalla Ue, ma ci si dovrà aspettare anche la reazione di Pechino. La Cina, ad esempio, è la principale produttrice delle batterie al litio che servono per le auto elettriche: l’arma per un’eventuale ritorsione commerciale potrebbe essere questa.
Anche la Ue ha scoperto che per produrre le auto elettriche servono sussidi. Una decisione un po’ tardiva, quella dell’indagine sui sussidi statali cinesi?
Si avvicinano le elezioni europee e a Bruxelles hanno intuito che tira una bruttissima aria per questa Commissione. Frans Timmermans, il vicepresidente, ha capito l’antifona e si è candidato in Olanda. Ora stanno cercando di recuperare. È una vergogna: questa indagine è arrivata con almeno due o tre anni di ritardo.
Il programma industriale cinese per le auto elettriche negli ultimi 15 anni ha comportato ampi interventi governativi. Come mai finora si è sottovalutato il problema da parte europea?
È cominciato 15 anni fa ma, complice la pandemia che ha distratto un po’ tutti, i cinesi hanno ampliato piano piano il loro raggio di azione grazie alla complicità dei tedeschi, al fatto che tutti i centri stile più importanti, anche italiani, hanno sedi a Shanghai e dintorni. Hanno approfittato dell’apertura nei loro confronti. I tedeschi hanno molti rapporti di collaborazione, hanno realizzato joint ventures, rendendosi molto dipendenti da loro. Non è possibile rendersi conto solo adesso del rischio cinese per ragioni politiche. Si sono svegliati tardi.
L’indagine Ue che conseguenze può avere in termini generali per il settore?
Molte di questa aziende cinesi hanno già annunciato investimenti in Europa per costruire nuove fabbriche, creando quindi posti di lavoro. Cosa faranno nel momento in cui dovessero partire dei dazi nei confronti delle loro auto? Potrebbero prendere una posizione dura. Teniamo conto che l’Europa, in quanto a materie prime, dipende quasi in tutto e per tutto da Pechino.
la Cina è il principale produttore di batterie al litio. Ai cinesi fa capo il 65% delle batterie prodotte. Potrebbero non darcele più?
Oppure farcele pagare cinque volte tanto. Sicuramente qualche cosa faranno. Quella della Ue è anche un’operazione codarda. Finora hanno lasciato tutto aperto, facendo sviluppare progetti ai cinesi, creando delle aspettative e poi improvvisamente chiudono la porta? Le auto cinesi sono meno care, anche se quelle super economiche devono ancora arrivare: se ne accorgono solo adesso?
L’industria automobilistica europea su che posizioni è?
Oliver Zipse, ceo di Bmw, Ola Kallenius, capo di Mercedes Benz e lo stesso Luca De Meo, quando parla come presidente Acea (Associazione europea costruttori automobili) manifestano molte perplessità, così come Tavares di Stellantis. Hanno più volte denunciato la situazione e l’immobilismo dell’Unione Europea. C’è da chiedersi poi come si fa a far viaggiare le auto elettriche: non c’è una rete di ricarica ad alta efficienza, che ricarichi in un quarto d’ora. Si è fatto un piano sull’elettrico senza pensare ad imprevisti come la guerra o una crisi energetica. La nostra rete elettrica poi salta quando rifornisce troppi condizionatori, figuriamoci se tutti dovessero caricare la macchina.
Alla fine questa indagine presumibilmente scoprirà quello che tutti sanno e cioè che i sussidi sono stati utilizzati. Vuol dire che metteremo dei dazi sui prodotti cinesi?
Certamente. Anche le nostre esportazioni pagano dazi in Cina. Poi c’è da considerare i bonus: dare incentivi alle auto elettriche significa privilegiare quelle che costano poco. I produttori occidentali hanno già manifestato l’intenzione di ridurre o forse anche di azzerare la produzione di macchine compatte, quelle meno care: anche gli incentivi, quindi, rischiano di finire in mani cinesi.
Ma non c’è il pericolo che anche il progetto Ue di produrre solo auto elettriche dal 2035 subisca un rallentamento?
La von der Leyen ha detto che per l’indagine ci vorranno 13 mesi, arriviamo a novembre 2024; ci sarà la nuova Commissione europea, il nuovo parlamento. È il solito annuncio. I cinesi hanno più di un anno per allargare ancora la loro sfera di influenza nel settore. La colpa della situazione però non è solo dei politici, ma anche dei costruttori: hanno sposato tre anni fa un progetto senza pensare a possibili inconvenienti. Lo hanno preso a scatola chiusa e adesso ne pagheranno le conseguenze. Le loro rimostranze attuali sono un po’ tardive.
Bisognava pensarci prima?
Adesso scopriamo che c’è il biocarburante prodotto dal gruppo Eni, i carburanti sintetici. Ci sono tante soluzioni. Non sono contro l’elettrico, ma la strada deve essere quella della neutralità tecnologica.
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