Da una parte Putin che invita l’Ucraina a farsi avanti “se vuole un negoziato”. Dall’altra Lavrov, il suo ministro degli Esteri, che si dice pronto a parlare con l’inviato di pace del papa, Matteo Zuppi, che ha appena concluso una storica visita in Cina. Tutti elementi che sommati l’uno all’altro potrebbero far pensare a uno spiraglio in vista di un’eventuale trattativa di pace che ponga fine alla guerra in Ucraina.
In realtà il negoziato è ancora lontano, ma di sicuro lo scenario che si sta delineando in queste ore, per quanto possibile, potrebbe preparare il lavoro delle diplomazie, pronte a far tesoro del clima di maggiore distensione che la missione del cardinale presidente della Cei sta contribuendo a realizzare girando tra Kiev, Mosca, Washington e, ultimamente, Pechino. “Zuppi sta facendo quello che dovrebbe fare il segretario generale dell’Onu” spiega Stefano Caprio, sacerdote cattolico di rito bizantino, in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo.
La prospettiva ora potrebbe essere anche quella di allargare il numero degli attori interessati a questo processo distensivo, per dare una dimensione il più possibile globale allo sforzo per la pace.
“Se l’Ucraina vuole negoziare lo dica”: le parole di Putin significano che sta cambiando qualcosa nell’approccio dei protagonisti della guerra? C’è uno spiraglio per costruire un’alternativa alle armi?
Putin in realtà queste cose le dice da sempre: basta che gli ucraini facciano quello che dice la Russia.
Non c’è un’apertura vera al dialogo?
No, assolutamente. È tutto come prima. Non c’è proprio niente di nuovo.
Nel frattempo, però, Lavrov ha dichiarato che è pronto ad accogliere a Mosca Zuppi, che in questi giorni è stato a Pechino. Anche questa non è una novità sostanziale?
Sarebbe un incontro positivo, va benissimo, ma si tratterebbe di chiacchiere senza particolare contenuto.
L’incontro di Zuppi in Cina, quindi, non ha permesso di fare passi avanti?
In generale c’è stato un giro di orizzonte da Oriente a Occidente dedicato a di questioni umanitarie come il grano, i bambini ucraini in Russia, ma anche legato a un clima forse non di pace, ma orientato a un cessate il fuoco. Un clima che sta crescendo, perché né la Russia né l’Ucraina possono andare avanti all’infinito così.
La missione a Pechino, allora, è servita a qualcosa?
È stato un incontro di portata storica perché è la prima volta che un rappresentante di alto livello della Santa sede va a Pechino. Ha un valore molto più ampio rispetto alla questione ucraina in sé e per sé. E se l’obiettivo della missione di Zuppi era quello di creare un clima di pace in generale, possiamo dire che l’incontro in Cina è il vero risultato dell’iniziativa.
Dunque è già un risultato essere riusciti ad andare lì a parlare?
Sì, un grande risultato. Nonostante gli accordi, nonostante le trattative degli ultimi anni, non era mai successo che un cardinale a nome del papa andasse a Pechino. Vuol dire che la Cina accetta che il Vaticano sia un interlocutore, ben sapendo che non ci saranno a breve trattative di pace vere e proprie. Così, però, la Cina riconosce anche a se stessa un ruolo importante nella vicenda.
I cinesi, quindi, prendono in considerazione l’invito a fare da mediatori nella guerra in Ucraina?
La Cina di per sé ha presentato delle proposte di pace, però il fatto che ci sia di mezzo il Vaticano vuol dire che si comincia a fare sul serio. L’incontro di Pechino è un segnale molto positivo, non per una trattativa di pace, dalla quale siamo ancora lontani, ma per uno scenario di pace che si deve realizzare a cominciare dal cessate il fuoco.
I fatti di queste ultime ore, l’uscita di Putin e la conferma del nuovo incontro di Zuppi a Mosca dopo Pechino, potrebbero far pensare che si stia muovendo qualcosa di sostanziale. Non è così?
Il fine di Putin e Lavrov è quello di indurre gli occidentali a fare pressione sull’Ucraina perché smetta di chiedere e ricevere armi oltre che di portare avanti la controffensiva. Così allora anche la Russia sarebbe disposta a intavolare una trattativa.
Sempre tenendo conto del fatto che poi bisognerà vedere quali saranno i contenuti di eventuali colloqui.
Certo. Né la Russia né l’Ucraina sono disposte a cedere, ma tutt’e due fanno fatica a portare avanti questo conflitto. Questo è il punto.
Ci sono altri interlocutori che possono essere coinvolti in questo processo e che possono contribuire a creare le condizioni per migliorare la situazione?
Interlocutori ce ne sono tanti. La Santa Sede è andata a Kiev e a Mosca, a Washington e a Pechino, non mi stupirei se ricominciasse il giro o andasse per esempio ad Ankara, perché la Turchia è un partner importante, piuttosto che a Nuova Delhi: si tratta di una questione globale.
Uno degli obiettivi di Zuppi, allora, è quello di allargare il più possibile il campo degli attori interessati alla vicenda?
Zuppi sta facendo quello che dovrebbe fare il segretario dell’Onu che, invece, non si vede da nessuna parte. Le Nazioni Unite sono state completamente escluse: la Santa sede, a modo suo, un’autorità mondiale ce l’ha e la usa.
Gli Stati ex sovietici, alcuni dei quali pur avendo forti legami storici con la Russia ora sembrano avvicinarsi alla Cina, possono svolgere un ruolo di raccordo tra Mosca e Pechino e favorire in qualche modo la distensione? Paesi come il Kazakistan ad esempio.
I cinque Paesi dell’Asia centrale sanno che con la nuova geopolitica adesso bisognerà creare dei corridoi tra Cina, Russia ed Europa e loro sono proprio su questa direttrice. Restano lì, equidistanti, legatissimi alla Russia per il passato, legatissimi alla Cina per il futuro, molto legati anche alla Turchia perché alcuni di essi sono Paesi di lingua turca, cercando di sfruttare la loro posizione. Ora come ora hanno una funzione di raccordo e anche di aggiramento delle sanzioni occidentali.
Possono avere un ruolo anche in vista di un’eventuale trattativa di pace?
Certo. Cercano di non sbilanciarsi, ma sanno bene che potrebbero ricevere i dividendi della loro posizione geografica.
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