Golpisti di tutta l’Africa unitevi. Non è l’analisi in toni un po’ canzonatori di quello che sta succedendo nel continente nero, dove ormai i colpi di Stato sono all’ordine del giorno, ma quello che è accaduto nella realtà per tre Paesi che sono finiti in mano, in tempi più o meno recenti, a giunte militari. Sì, perché ora Mali, Burkina Faso e Niger si sono giurati reciproco aiuto formalizzando questa decisione in un accordo militare che prevede anche una promessa di intervento a favore di una delle nazioni alleate nel caso in cui questa subisca un attacco da parte di forze esterne.
“Un meccanismo che rende questa alleanza una sorta di micro-Nato saheliana” dice Marco Di Liddo, direttore del Cesi, Centro studi internazionali. L’intesa stretta in questi giorni, però, potrebbe non essere completamente farina del sacco dei tre governi golpisti: l’idea potrebbe essere stata suggerita da russi e cinesi. Un elemento che renderebbe ancora più concreto il rischio che il Niger finisca sotto l’influenza di Mosca, visto che Mali e Burkina vedono già la presenza di militari della Wagner e dei loro consulenti. Di certo l’alleanza mette in difficoltà l’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest, che ha già ipotizzato un intervento militare che però, di fronte a questo scenario, diventa più difficile di prima. Chi è ancora più in difficoltà è la sempre più disastrata popolazione di questi tre Paesi.
Da dove nasce la “triplice alleanza” Mali, Burkina Faso, Niger e che significato può avere?
L’accordo era nell’aria, sospinto soprattutto dal Niger, che deve dare una risposta alle pressioni francesi, europee e dell’Ecowas volte a destituire la giunta militare per permettere il ritorno di Bazoum. La giunta militare ha giocato d’anticipo proponendo subito un’alleanza tra Paesi accomunati dall’essere guidati da governi non democraticamente eletti e politicamente illegittimi dal punto di vista procedurale, ma anche da un forte sentimento antifrancese e antieuropeo, dal condividere problematiche comuni a livello di connessioni internazionali e di minacce interne (in primis il jiahdismo di Al Qaeda e dello Stato islamico) e soprattutto dalla necessità di alzare l’asticella nei confronti dell’Ecowas e dell’Unione Europea circa i rischi di un eventuale intervento.
Una deterrenza nei confronti dell’Ecowas?
Il punto è questo: l’Ecowas è già indeciso perché il Niger potrebbe essere una trappola, ma ora l’accordo fra le tre nazioni prevede non solo consultazioni e attività militari comuni e concertate contro le minacce interne, ma anche una clausola semiautomatica di intervento in difesa di uno dei partner in caso di aggressione esterna: una micro-Nato saheliana.
Un elemento che cambia la situazione di quest’area geografica?
Bisogna vedere se nel concreto queste clausole verranno rispettate. Ma la sola possibilità che nel caso di un intervento Ecowas gli alleati si schierino militarmente in favore del Paese aggredito, alza in maniera esponenziale i rischi dell’Ecowas stesso, rendendo molto più complicato, ad esempio, un eventuale suo intervento militare in Niger per riportare al Governo l’ex presidente Bazoum. Dal punto di vista politico la cosa più interessante è che al blocco Ecowas, legittimo dal punto di vista internazionale, per la prima volta si contrappone un blocco di tre Paesi golpisti, i cui governi non sono riconosciuti.
In Mali e Burkina Faso i russi sono già presenti, anche il Niger può finire nella zona di influenza di Mosca? Dietro a questa alleanza c’è una regia internazionale?
La regia internazionale se c’è è arrivata tramite i consigli russi e cinesi. Questo accordo può anche essere frutto di un suggerimento giunto dai consiglieri del Wagner Group. Direi che l’eventualità che il Niger finisca tra i Paesi legati ai russi c’è. Più i giorni passano senza trovare una soluzione e più il rischio di un coinvolgimento della Wagner aumenta sensibilmente.
Come si riesce a scardinare questo ordine di cose, attraverso quali passi? Se fosse nell’Ecowas come agirebbe?
Dipende sempre dagli obiettivi. È chiaro che quello diplomatico deve sempre prevalere per i rischi logistici, operativi e umanitari insiti in un’operazione del genere. La prima strategia sarebbe quella di cercare di concordare con le giunte un percorso di transizione lenta verso un governo democratico, in due o tre anni, facendo capire che si è nell’impossibilità di avere rapporti pacifici con giunte militari. Di fronte al rifiuto di un percorso negoziale bisognerebbe valutare l’opzione militare, per gradi, cominciando con attività mirate, non subito con un’attività di guerra su larga scala. Anche se, in uno scenario del genere, si riproporrebbe il problema delle milizie jihadiste lì presenti, che non vedono l’ora che entri una missione internazionale dell’Ecowas per incrementare ulteriormente gli attacchi, facendo proselitismo nella popolazione civile.
In questo contesto qual è la situazione della popolazione civile di questi Paesi?
L’unico aggettivo che mi viene in mente è disastrosa. Stiamo parlando di tre dei Paesi più poveri del continente, alle prese anche con le conseguenze terribili del cambiamento climatico e l’innalzamento dei prezzi dei beni alimentari dovuto all’inflazione, scatenata anche dalla crisi nel Mar Nero.
Tutta questo quanto potrebbe incidere sui flussi migratori?
Il problema del flusso migratorio è solo l’ultimo sintomo di una malattia dell’Africa molto più profonda, di fronte alla quale non abbiamo ricette efficaci.
Quella che chiamiamo impropriamente emergenza flussi sarà invece destinata a proseguire ancora per molto?
Non è più un’emergenza, non è qualcosa di straordinario e improvviso: i dati ci dicono che si tratta di un fenomeno che dura da anni e che per anni durerà, anche perché non si vede il modo di uscirne. I dati demografici ci dicono che entro il 2050 l’Africa sarà il continente più popolato al mondo ospitando un quarto della popolazione e contemporaneamente avrà solo il 6% del Pil globale, con milioni di persone affamate in cerca di condizioni di vita migliori, anche dal punto di vista dei diritti. Persone che non potranno non andare a cercare fortuna nelle destinazioni per loro più vicine. Compresa Lampedusa.
(Paolo Rossetti)
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