Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, il cosiddetto mismatch, problema molto delicato per un Paese come il nostro con un livello di disoccupazione elevato, ha assunto negli ultimi anni dimensioni decisamente importanti, arrivando a interessare quasi un caso su due delle assunzioni programmate dalle imprese nel 2023 (era uno su quattro nel 2019).
Le classifiche internazionali mostrano che questo fenomeno non è una peculiarità nazionale. Su 133 Paesi al mondo, l’Italia occupa il 69° posto per facilità delle imprese nel trovare le figure professionali richieste.
Varie cause sono all’origine del mismatch, almeno in Italia. Anzitutto la denatalità. Entro il 2050 ci saranno in Italia 8,5 milioni di persone in età da lavoro in meno rispetto al 2022. E intanto assistiamo alla cosiddetta “fuga dei cervelli”, con tanti giovani che vanno all’estero e che sono in numero maggiore rispetto ai loro coetanei che dall’estero scelgono l’Italia per stabilirsi. Il 25% del mismatch, ci dice la banca dati Excelsior, dipende dalla carenza di candidati.
Si è detto che una causa è la mancanza di adeguate competenze. Ed è vero. Secondo l’Ocse, quasi il 20% dei lavoratori ha competenze inferiori a quelle ricercate. In Italia questa carenza è più diffusa rispetto alla media Ue (18,2% a fronte del 16,8%).
Si è detto che il difficile incontro domanda-offerta di lavoro sia legato alla rapida evoluzione delle tecnologie. Anche questo è vero. Entro il 2025, nel mondo, per il 73% dei lavoratori saranno necessarie attività di re-skilling e up-skilling. C’è soprattutto carenza di competenze digitali e green. In Italia tra il 2023 e il 2027 saranno richieste competenze green a circa 2,4 milioni di lavoratori (il 65% del fabbisogno del quinquennio) e competenze digitali a poco più di 2 milioni di occupati (il 56% del totale), competenze che sarà complesso trovare.
Alla difficoltà di reperimento contribuiscono anche l’assenza di un vero sistema di orientamento e una formazione scolastica e universitaria non in linea con le esigenze delle imprese. Anche questo è vero. Il numero dei laureati di alcune delle discipline più richieste dal sistema produttivo, quali quelle STEM, non coprirà i fabbisogni da qui al 2027 (si stima che mancheranno 6mila laureati STEM l’anno).
Vorrei mettere in luce però anche un altro aspetto che riguarda l’approccio delle imprese. I cambiamenti, soprattutto dopo il Covid, nell’universo del lavoro le interpellano profondamente.
Anche qui alcuni numeri ci aiutano a capire:
– l’aspetto retributivo: il 44,2% degli occupati considera la retribuzione non adeguata alle proprie esigenze;
– le modalità con cui il lavoro è organizzato (ad esempio l’uso dello smart working): il 58% delle persone non accetterebbe un lavoro se dovesse influenzare negativamente l’equilibrio vita-lavoro;
– il tipo di contratto che l’impresa propone: il 66% rifiuterebbe un lavoro se non fornisse abbastanza sicurezza in termini contrattuali. E invece nel nostro Paese negli ultimi anni è cresciuto soprattutto il numero dei contratti a tempo determinato (+820mila nel 2022 rispetto a 15 anni fa) e la fascia più precaria del lavoro autonomo;
– è importante la visione che l’impresa trasmette: il 48% dei lavoratori lascerebbe il posto di lavoro se non condividesse i valori dell’azienda;
– contano tanto l’attenzione alle persone e il loro coinvolgimento: nel 2022 circa 270 mila lavoratori in più rispetto al 2021 hanno presentato le dimissioni volontarie; tra le principali motivazioni c’è la ricerca di un lavoro che offra più possibilità di sviluppo delle competenze, di crescita, di coinvolgimento.
Tutto ciò porta a una prima conclusione. La dimensione soggettiva e quella personale, i bisogni, i valori, le attese di chi lavora o cerca lavoro, che negli scorsi anni sono stati tenuti in conto di meno, riacquisiscono peso, e le aziende, ma anche le organizzazioni imprenditoriali, i sindacati, i corpi intermedi, le istituzioni, non possono non dedicare a questi aspetti una più forte attenzione. Inoltre, se sempre meno si può parlare di una realtà del “lavoro” uguale per tutti, e sempre più di “lavori”, in ogni caso emerge in modo potente il bisogno che nelle diverse situazioni siano possibili quelle condizioni oggettive (salario, condizioni di lavoro, ecc.) e di senso (coinvolgimento, condivisione, ecc.) che ogni persona tende a ricercare nel proprio lavoro.
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