Colpo di scena nel caso delle presunte torture in questura a Verona che portò all’arresto di cinque agenti accusati di violenze sui detenuti durante la custodia. A riportare quanto accaduto poche ore fa è il quotidiano La Verità, secondo cui l’accusatore, un tunisino, non si sarebbe presentato all’incidente probatorio in cui si sarebbe dovuta cristallizzare la sua versione dei fatti. Un’assenza non per paura di eventuali ritorsioni da parte della polizia, come avrebbe sostenuto il gip quando il testimone si sarebbe reso irreperibile nei mesi scorsi, bensì perché sarebbe finito in carcere per un cumulo di pene relativo a vari reati a Venezia – tra cui lesioni, spaccio e porto abusivo di armi – e per questo si troverebbe in cella dall’agosto scorso.
È una dele novità nella vicenda, riportata anche dal Corriere del Veneto, che arriva dopo la decisione del tribunale di liberare uno degli agenti dopo 100 giorni di domiciliari e dopo il “non luogo a procedere” stabilito per un altro collega. L’arresto degli agenti, tra cui un ispettore, era avvenuto lo scorso 6 giugno e uno dei principali testimoni dell’accusa era proprio il tunisino, Mohamed Dridi. L’uomo avrebbe raccontato di essere stato insultato, picchiato e torturato dopo essere stato fermato dalla polizia con 750 euro in tasca mentre era su un monopattino: “Non avevo i documenti, si sono innervositi e mi hanno spruzzato lo spray al peperoncino“. Questo l’incipit del racconto con cui Dridi avrebbe accusato i poliziotti di una presunta nottata di violenze finita al vaglio degli inquirenti, nell’alveo di una inchiesta che avrebbe visto coinvolti altri 17 colleghi della questura scaligera poi iscritti nel registro degli indagati.
Presunte torture in questura a Verona, il caso si sgonfia? Sindacato polizia: “Indagine rivela svolte grottesche”
Il caso che avrebbe scosso la questura di Verona portando a un potenziale scandalo, riporta ancora La Verità, si starebbe sgonfiando sotto il peso di alcuni colpi di scena. Secondo quanto ricostruito da Verona Sera, il tunisino che aveva denunciato le presunte violenze da parte di alcuni poliziotti era atteso in udienza il 18 settembre scorso per confermare le sue accuse e quindi cristallizzare, con la formula dell’incidente probatorio, la sua versione dei fatti.
Ma non si sarebbe presentato per una causa diversa da quella che, secondo il gip, sarebbe stata la presunta decisione di “darsi alla macchia”, a luglio scorso, per “paura di ripercussioni ad opera della polizia a fronte delle dichiarazioni rese“: secondo quanto sostenuto da Davide Battisti, segretario provinciale del Sindacato di polizia Siulp di Verona, il motivo dell’assenza del tunisino, principale accusatore, sarebbe da rintracciare nel fatto che sarebbe detenuto a Venezia, da mesi, per un cumulo di pene superiore a 4 anni. Secondo quanto riporta Il Corriere del Veneto, la sua deposizione sarebbe quindi rinviata al prossimo ottobre. Per Battisti, quanto emerso sulla attuale detenzione del tunisino rappresenterebbe un dettaglio non secondario, qualcosa che “suscita ulteriori perplessità su un’indagine che sta rivelando svolte grottesche”. Secondo il segretario provinciale Siulp, l’uomo si era reso irreperibile per evitare il carcere e non per timore di ritorsioni dopo le accuse mosse agli agenti. “Ci sembra a questo punto lecito chiedere in base a quali elementi – avrebbe aggiunto Battisti – il gip abbia potuto sbilanciarsi in giudizi con ricadute così ustionanti nei confronti di operatori della polizia sulla cui responsabilità non era stata raggiunta alcuna certezza giudiziaria, e per di più nel momento in cui la stessa procura aveva cominciato a nutrire dubbi sulla genuinità delle dichiarazioni della presunta parte offesa“.