La morte del presidente Napolitano in questi giorni sta facendo emergere molti ricordi legati alla sua persona e in particolare al suo ruolo di Presidente della Repubblica; il primo presidente con un doppio mandato, a conferma della stima e del prestigio di cui godeva nell’intero Parlamento. Fu una elezione tutt’altro che facile, accompagnata da un discorso durissimo rivolto alle due Camere. Trapelava già allora un implicito riferimento a possibili dimissioni, da rassegnare non appena il clima politico fosse migliorato, quel tanto necessario a non creare instabilità sociale ed economica nel Paese. Napolitano avendo dovuto affrontare, da presidente, molte crisi importanti proprio sotto il profilo economico-finanziario, era particolarmente attento a questi problemi e cercava di gestirli con la massima prudenza e in piena sintonia, per quanto possibile, con l’Europa. Suoi alleati due personaggi che godevano di indiscusso prestigio a livello internazionale: Mario Monti, con lunga esperienza da commissario europeo e Mario Draghi, presidente della Bce. Ma nel suo curriculum presidenziale c’è un’ombra che è ben difficile dimenticare e che riguarda il famoso caso Englaro, con cui in Italia di fatto si dischiudono le porte all’eutanasia.
Per chi ha vissuto quella vicenda, il ricordo è indelebile. La contrapposizione tra i diversi schieramenti aveva raggiunto toni molto accesi; da un lato c’era la difesa ad oltranza della vita, considerata come un bene non disponibile, soprattutto per coloro che non erano in grado di prendere decisioni in modo consapevole; dall’altro lato c’erano i fautori del diritto di autodeterminazione, che includeva senza eccezioni di sorta anche il rifiuto delle cure salvavita. La vita da una parte, la libertà dall’altra; due valori davanti ai quali nessuno vorrebbe trovarsi nella necessità di dover scegliere, per rinunciare ad uno e riaffermare l’altro.
Nello spartiacque tra le due posizioni c’era la vita di Eluana Englaro, vittima di un grave incidente automobilistico, da circa 17 anni in stato di minima coscienza o come si diceva allora in stato vegetativo. Ma lei del vegetale non aveva proprio nulla e la stampa, la stessa tv, rimandava continuamente alcune delle sue immagini scattate poco prima dell’incidente che la rappresentavano nel fiore degli anni. Giovane, bella, sorridente; impossibile credere che fosse ricoverata presso un istituto di suore da cui veniva amorevolmente accudita, grazie anche ad una Peg (gastrostomia endoscopica percutanea) che permette un tipo di alimentazione artificiale. Il padre chiedeva che questa forma di nutrizione venisse sospesa, lasciando alla figlia un’unica alternativa, quella di morire per mancanza di cure, compresa la nutrizione.
Una procedura non prevista fino ad allora dal codice di deontologia medica, che aveva sempre posto in pole position il diritto del malato ad essere curato fino al termine della sua vita. In mancanza di una legge ad hoc, che consentisse questa procedura, la Corte di Cassazione aveva autorizzato la sospensione della nutrizione, spiazzando tutto il mondo cattolico, allora molto più attivo di oggi, nella tutela di quelli che venivano chiamati valori non negoziabili. Questo fatto spinse il governo di allora, un governo di centrodestra, a fare un decreto d’urgenza, in cui si diceva: “Alimentazione e idratazione, in quanto forme di sostegno vitale, fisiologicamente destinate ad alleviare le sofferenze, non vanno in nessun modo sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a sé stessi”. Esattamente il contrario di quanto poi apparirà nell’articolo 1 della cosiddetta legge sulle DAT, la legge 219/17.
Davanti al decreto del Governo, non ancora giunto in Aula e quindi non ancora approvato dal Parlamento, Napolitano, con una procedura che non si era mai vista prima né si vedrà mai più dopo, fece sapere con una sua lettera rivolta a Berlusconi, allora capo del Governo, che non avrebbe mai firmato quel decreto, adducendo argomentazioni difficili da capire e ancor più difficili da accettare.
Il presidente Napolitano nell’incipit della lettera afferma: “Signor Presidente, lei certamente comprenderà come io condivida le ansietà sue e del Governo rispetto ad una vicenda dolorosissima sul piano umano e quanto mai delicata sul piano istituzionale”. Sul piano emotivo il presidente della Repubblica sembra perfettamente in linea con il presidente del Consiglio; ma il suo ruolo gli impone di verificare la rispondenza di un provvedimento legislativo di urgenza alle condizioni specifiche prescritte dalla Costituzione e ai principi da essa sanciti. In questo caso il Presidente non ravvede i motivi di urgenza del decreto, proprio perché il Parlamento da tempo sta dibattendo su temi delicati come la fine della vita, il testamento biologico e i trattamenti di alimentazione e di idratazione meccanica.
E aggiunge: “Non è un caso se in ragione della loro complessità, dell’incidenza su diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti e della diversità di posizioni che si sono manifestate, trasversalmente rispetto agli schieramenti politici, non si sia finora pervenuti a decisioni legislative integrative dell’ordinamento giuridico vigente. Già sotto questo profilo il ricorso al decreto-legge, piuttosto che un rinnovato impegno del Parlamento ad adottare con legge ordinaria una disciplina organica, appare soluzione inappropriata”. Per Napolitano è la stessa complessità del dibattito, che rende difficile giungere ad una conclusione condivisa, a rendere inopportuno il ricorso al decreto-legge.
Già allora il ricorso allo strumento del decreto-legge era diventato praticamente una prassi nella gestione dei lavori parlamentari, svuotando progressivamente il Parlamento delle sue stesse prerogative. Napolitano dice “no” a quel decreto-legge, ma da allora in poi ha sottoscritto tutti i decreti-legge che gli sono stati sottoposti, senza mai sollevare riserve, salvo una generica critica al numero eccessivo dei decreti-legge entrati in uso nei mesi e negli anni successivi.
Un’altra delle perplessità espresse da Napolitano nella lettera a Berlusconi riguarda un potenziale conflitto tra i poteri dello Stato. Dopo aver evidenziato la pubblicità e la drammaticità che il caso Englaro ha nella pubblica opinione, che potrebbero comunque richiedere un intervento mirato, scrive: “Ma il fondamentale principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato non consente di disattendere la soluzione che per esso è stata individuata da una decisione giudiziaria definitiva sulla base dei principi, anche costituzionali, desumibili dall’ordinamento giuridico vigente”. In questo passaggio Napolitano sembra ignorare come una volta di più sia stata la giustizia, con la sentenza della Cassazione, a sostituirsi al potere legislativo del Parlamento, anticipando decisioni che già allora avevano un’ampia risonanza in parlamento, come lo stesso presidente aveva affermato poco prima.
E infine Napolitano tenta di giustificare sé stesso, ricordando il suo ruolo di garanzia: “Ricordo, infine, che il potere del Presidente della Repubblica di rifiutare la sottoscrizione di provvedimenti di urgenza manifestamente privi dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza, discende dalla natura della funzione di garanzia istituzionale che la Costituzione assegna al Capo dello Stato”. E nel poscritto, a supporto della sua decisione, ricorda tre esempi concreti con cui tre presidenti prima di lui, Pertini, Cossiga e Scalfaro, si erano rifiutati di firmare tre decreti che gli erano stati sottoposti. Si trattava rispettivamente di un profilo di cura del Ssn, della formazione del personale Anas, della legge sul finanziamento dei partiti, tutti e tre rimandati al Parlamento, per farne delle leggi ordinarie.
Eluana morì di lì a pochi giorni, la lettera del Presidente contribuì a irrigidire ancora di più le diverse posizioni e non ci fu tempo per elaborare la legge, che arrivò oltre dieci anni dopo e che al punto 1.5 afferma in netto contrasto con la norma proposta dieci anni prima: “Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia. Ai fini della presente legge sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”. E con questo articolo la Corte Costituzionale nella sentenza 242/2019 ha ammesso che si è spalancata la porta all’ingresso dell’eutanasia nel sistema sanitario italiano. Peccato, Presidente.
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