L’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, figlia del giudice antimafia uccise nel 1992, parlando dinanzi alla Commissione nazionale antimafia ha puntato il dito nei confronti della procura palermitana: “Occorre andare a cercare dentro l’ufficio della Procura di Palermo – le sue parole riportate da PalermoToday – per vedere se allora si posero in atto condotte che in qualche modo favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione, indicazione come target e obiettivo di Paolo Borsellino, che sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre proceduto gli omicidi eccellenti a Palermo”. Commentando le dichiarazioni rese al Csm da parte dei magistrati della procura del capoluogo siciliano subito dopo la strage, ha spiegato che “È un dolore incommensurabile avere scoperto che già dal luglio del 1992 esistevano dei verbali e delle audizioni dei magistrati della Procura di Palermo in cui vuoi per la vicinanza rispetto alla strage o vuoi perché in quella Procura vi era un malessere che covava da tempo, i magistrati di allora furono sinceri e privi di qualunque freno inibitorio nel racconto delle dinamiche che, messe in atto dal procuratore Pietro Giammanco, resero di fatto impossibile la vita di un magistrato valoroso come Borsellino”.
Presente a Roma in audizione anche Lucia Borsellino, figlia di Paolo, che ha chiesto di fare chiarezza dopo più di 30 anni di misteri: “Chiediamo che le componenti statali possano fare piena luce, senza condizionamenti, sui dettagli della vita di mio padre – riporta ancora PalermoToday – che hanno caratterizzato gli ultimi momenti della sua vita, perché il diritto alla verità non sia una ossessione solo delle famiglie vittime di mafia ma di tutti”. La figlia del giudice Paolo Borsellino ha quindi aggiunto che “non sono venuti fuori del tutto atti e prove testimoniali che potessero fornire elementi, a nostro avviso indispensabili, per comprendere il contesto nel quale mio padre operava e il profondo stato di prostrazione e isolamento in cui ha vissuto fino all’ultimo giorno della sua vita”. Perché “il diritto alla verità non è una ossessione della famiglia Borsellino, o degli altri familiari delle vittime, ma un diritto che appartiene all’intera comunità. Pensiamo che sia doveroso consegnare alle giovani generazioni la narrazione fedele di ciò che è realmente accaduto in quella fase drammatica del nostro Paese oltre che della nostra famiglia”.
MORTE BORSELLINO, TRIZZINO: “HA VISSUTO UN INFERNO NEL SUO STESSO UFFICIO”
Secondo Trizzino, Paolo Borsellino fu umiliato nel suo stesso ufficio: “Il giudice Borsellino ha vissuto l’inferno nel suo ufficio, un palazzo di giustizia che era diventato un luogo in cui non si trovava più a suo agio, un luogo in cui venne umiliato. E in tutti questi anni nella testimonianza resa dalla vedova Agnese Piraino in cui Borsellino dice: ‘Mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia. La mafia non si vendica, forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi e altri’, è stato costantemente espunto il riferimento ai ‘miei colleghi’. Se noi incrociamo questa confidenza di Borsellino con la testimonianza del 2009 in cui si dice che Borsellino definisce il suo ufficio un ‘nido di vipere’ allora dobbiamo andare a cercare dentro la Procura di Palermo” per “ricostruire le dinamiche comportamentali che avevano potuto giustificare quella affermazione incredibile”.