Una crisi di bilancio, quella di inizio anno, che ormai sembra superata. Con un Pil che potrebbe arrivare anche a più 2,8%. L’economia russa, assorbito il colpo delle sanzioni e riorientata a Est per quanto riguarda la vendita di gas e petrolio, sta riprendendosi. Il ministro delle Finanze Anton Siluanov è fiducioso su un ulteriore rilancio del settore energia e un mantenimento del deficit al 2% o anche meno. Se dal punto di vista militare, dopo aver guadagnato parte del territorio ucraino, la situazione della guerra pare di stallo, l’economia di Mosca sembra procedere per il meglio, tanto da immaginare di sostenere a lungo il conflitto secondo il motto “Tutto per la vittoria”.
Risultati positivi, osserva Fabio Mini, generale già capo di stato maggiore della Nato per il Sud Europa e comandante delle operazioni di pace Nato in Kosovo, frutto di una ristrutturazione dell’economia annunciata da Putin nella primavera dell’anno scorso. Intanto i russi celebrano l’annessione dei territori occupati (Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson) e il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Medvedev annuncia che ci saranno altre annessioni.
Generale, se non dal punto di vista militare, la Russia può cantare in qualche modo vittoria dal punto di vista economico?
Se vincono la guerra dal punto di vista economico non lo so. Certo non sono andati a finire nella spirale della sconfitta. Non mi meraviglierei dei dati forniti dai russi, erano prevedibili già dalle misure che avevano preso a partire dal 16 marzo 2022, quando Putin fece un discorso a tutti i responsabili delle amministrazioni locali. In quell’occasione aveva dato direttive di carattere economico e socioeconomico. Appena le ho lette ho pensato che i russi avessero ben chiaro che la guerra poteva andare avanti per anni. Innanzitutto venivano date disposizioni per sostenere le forze armate, ma anche per sostenere il livello di vita interno, in modo che il popolo russo non dovesse percepire che c’erano dei problemi. Quindi si pensava a ricalibrare le esportazioni e le importazioni, così come a snellire la burocrazia nei rapporti con gli stati amici. Non ho visto nessun politico europeo fare una cosa del genere in previsione che il conflitto andasse oltre il semplice fatto dell’invasione.
Il programma di Putin è stato realizzato?
I russi in un anno hanno ricalibrato l’economia e contemporaneamente le forze armate non hanno più le carenze che avevano. Hanno realizzato fortificazioni in pochissimo tempo, neanche scalfite dagli ucraini. E lì ci vogliono manodopera ma anche macchinari, materie prime, produzione di mine e munizioni per le artiglierie. Che la parte economica stia volgendo a loro favore è un’esagerazione, ma di sicuro non gli sta andando contro. Hanno parecchi utili e non solo per il petrolio.
La ripresa, quindi, è dovuta soprattutto a una ristrutturazione dell’economia?
Sì. Hanno ristrutturato in maniera enorme e soprattutto hanno rivitalizzato tutte quelle industrie che si erano messe a fabbricare di tutto pur di rimanere in vita, ma che avevano le attrezzature per produrre munizioni. Fabbriche che si trovano a ridosso degli Urali e in Siberia. In più hanno ricalibrato tutte le esportazioni. Il primo accordo della guerra del grano, inoltre, è stato un colpo da maestro, perché nel contesto della protezione del grano ucraino i russi sono riusciti a vendere anche il loro grano.
Il bilancio russo prevederebbe un aumento della spesa militare di oltre il 6% del Pil nel 2024: hanno ben in mente che questa guerra non la vogliono perdere, garantendosi sicurezza anche per gli anni successivi?
Certo. Soprattutto intendono proteggere il Paese dalla sindrome della guerra. All’interno l’economia deve continuare ad andare avanti, il rublo si deve rivalutare e il mercato non deve subire lo shock che stiamo subendo noi, con la benzina che da 1,30 è passata a un euro al litro in più. Noi stiamo pagando benzina, gasolio, gas, energia elettrica come se fossero oro.
Mettiamo che la guerra finisca a breve, che ruolo potrebbe avere dal punto di vista geopolitico la Russia nel mondo che esce dal conflitto in Ucraina?
Se la Russia riesce a risolvere il conflitto in una maniera qualsiasi e accetta le condizioni che verranno poste da americani ed europei, significa solo che si trova in vantaggio politico. Che risolvere il conflitto in Ucraina anche alle condizioni della Nato o degli Usa sia una perdita totale per la Russia è una stupidaggine. Avrà bisogno di sfoghi dal punto di vista economico. E il primo è quello della ricostruzione, quella del Donbass. La ricostruzione dell’Ucraina che Zelensky va vendendo a uno Stato o all’altro è da prendere con le pinze, perché nelle zone di cui parla non ci sono danni di guerra. Se mai ci sono ristrutturazioni da fare perché c’è un’economia arretrata. Le ricostruzioni da zero sono quelle del Donbass e lì se ne occuperanno i russi. Se guardiamo la cartina dei danni di guerra che l’Ucraina reclama sono per il 77% nella fascia del Donbass e a Oriente del Dniepr. La Russia sta già risistemando a Mariupol: si vedono già le costruzioni che crescono.
Il motto russo “Tutto per la vittoria” sbandierato anche in sede di presentazione dei dati economici, significa che vanno avanti fino alla vittoria militare o cos’altro?
Cosa vuol dire vittoria? Questo non lo ha spiegato nemmeno Putin. Nelle sue dichiarazioni iniziali parlava di denazificazione del governo ucraino. E se questa denazificazione viene fatta da Zelensky su imposizione degli americani, che un po’ alla volta fanno fuori lo staff ucraino della prima ora, questa è già una vittoria per Putin. Per parlare di vittoria devi avere conseguito gli obiettivi iniziali. Conquistare il Donbass ma non metterlo in sicurezza non è una vittoria, perché ci saranno sempre una Nato o l’Ucraina che ti faranno la guerra: la vittoria in Donbass significa avere il riconoscimento che il territorio appartiene alla Russia o perlomeno sia nella sfera della Russia. Per far questo basta in sede di trattative farsi riconoscere il Donbass come una fascia di sicurezza neutrale.
Che cosa significa?
Che il Donbass può essere indipendente e autonomo, però bisogna garantire che sia effettivamente neutrale e che non sia attaccato da altri. Sarebbe già una grande vittoria per Mosca. Putin ha la possibilità di modulare la sua concezione di vittoria, mentre Zelensky e la Nato non ce l’hanno: insistono ancora sul fatto che possa esistere una vittoria militare. E la porteranno avanti fino alla fine. Ma alla fine degli ucraini. I russi, invece, possono affermare di avere vinto con una serie di opzioni, riprendendosi il Donbass, e facendo in modo che la Nato non ratifichi l’entrata di nuovi Paesi nell’Alleanza atlantica.
Già l’Ungheria, ad esempio, è scettica sull’entrata dell’Ucraina e anche della Svezia. Basterebbe a frenare nuove entrate?
Basta un Paese che dica di no. Già vedo che la stessa Finlandia cominciare ad avere problemi con la Nato: il loro primo ministro ha detto che pensava che entrare nella Nato fosse più semplice e non ci fosse così tanta burocrazia. Quando dici burocrazia intendi intoppi, intralci, piccoli giochi non chiari.
In questi giorni un servizio della Bild parla di un crollo dell’industria chimica tedesca legandolo alla questione sanzioni. Nel frattempo la Commissione europea avrebbe suggerito di eliminare il divieto permanente di importazione del gas russo. L’Europa si prepara a riaprire la porta a Mosca anche in vista del dopoguerra?
Me lo auguro: non possiamo essere isolati, dipendere solo da quello che ci viene da oltreoceano. Le affermazioni della Ue, però, sono tardive: pensa di ristabilire rapporti come in precedenza, ma non è così. Prima che il gas o il petrolio scendano ai livelli anteguerra dovranno passare decenni, ma decenni di pace e cooperazione. Basta un altro quinquennio di destabilizzazione e noi siamo in difficoltà serie. Penso che una via per uscire dalla guerra sia la limitazione delle ambizioni iniziali della Nato e dell’Ucraina. Attenzione, però, alla questione energetica: in Germania se l’industria chimica va male non è solo perché i rapporti con i russi non sono più quelli di prima, ma anche perché il mercato che voleva prodotti chimici si è ridotto molto con la svolta green che i verdi vogliono attuare in Germania e che sta tentando di sviluppare anche Biden negli Usa.
(Paolo Rossetti)
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