Il 27 settembre 2023, Google LLC ha festeggiato il suo 25° compleanno. In questo quarto di secolo, l’azienda di Mountain View ha rivoluzionato la natura del modo in cui si vive, si lavora e si comunica contribuendo a edificare, in maniera oltremodo significativa, quella che è la società informazionale e digitalizzata attuale. Dagli inizi, quelli di una semplice start-up – formata da due laureati di Stanford che avevano ingegnerizzato un metodo per classificare le pagine web in base al numero dei link – a oggi, Google è divenuta una corporation tecnologica che ha un impatto, forse anche sovraordinato, sull’ecosistema globale. Dal 5 ottobre 2015 è divenuta una controllata della holding company Alphabet.
Fin dalla sua fondazione, la missione dell’azienda è stata quella di “organizzare le informazioni nel mondo e renderle universalmente accessibili e utili”. Ciò ha inverato la visione di Shannon e Weaver di una società dell’informazione e permesso la formazione dell’era dell’accesso, “la nuova cultura dell’ipercapitalismo” (Rifkin 2000) contribuendo alla democratizzazione dell’informazione, fors’anche a una sua commodificazione a fini di profitto, rendendola tuttavia accessibile a tutti, con un indubbio impatto positivo sull’istruzione, sulla ricerca e sulla partecipazione civica. In linea, del resto, con la cultura dell’ideologia californiana in voga in quel torno di tempo (Barbrook & Cameron 1995).
Un certo idealismo di fondo, una sorta di messianismo digitale, si poteva cogliere, compulsando il codice di condotta delle origini, nella frase Don’t be evil, che era considerata lo slogan non ufficiale della compagnia. Tale motto veniva sostituito, nel 2015, con il più anodino Do the right thing, nel codice di condotta di Alphabet. Ed è proprio dal motto iniziale che si può far partire una breve riflessione che programmaticamente non vuole essere né apocalittica e neppure integrata. Questo perché un giudizio complessivo sul gigante di Mountain View non è altro che una valutazione critica sulla società odierna e sul suo “ecosistema” digitale, corrosa internamente da un pervasivo fideismo tecnologico e tecnocratico.
Gli integrati preferirebbero ricordare, di questo quarto di secolo, un mondo sostanzialmente pre-digitale in cui il web e gli algoritmi erano pieni di bug e di glitch, al contrario dell’odierna, scintillante, Googlization (Vaidhyanathan 2012). Quest’ultima, ha favorito l’ideazione di molte applicazioni per la condivisione delle informazioni, anche mediante il cloud computing, consentendo così lo sviluppo di modalità lavorative a distanza e di tipo collaborativo. Oltre al motore di ricerca, alla base della sua fondazione, è da evidenziare qui anche l’ideazione di una nuova piattaforma per la vendita di annunci pubblicitari, altamente personalizzati, grazie a cui, chiunque può, oggigiorno, monetizzare la propria popolarità online grazie a quell’economia dell’attenzione che trova nelle piattaforme dei social media uno dei suoi luoghi privilegiati di scambio. Tra gli altri apporti principali, forniti da Google alla nuova “civiltà” digitale, si possono qui citare anche artefatti di indubbia utilità quali Mail, Maps, Translate, Docs, Drive, Books, per citare solo i più conosciuti.
Gli apocalittici, invece, preferirebbero sottolineare: il suo potere, tuttora dominante, nel mercato dei motori di ricerca; la sua raccolta e l’utilizzo dei dati personali, sollevando più di una preoccupazione sulla privacy e sulla sicurezza dei dati; la massiva e indiscriminata profilazione degli utenti, seppur attenuata negli ultimi tempi, l’impatto ambientale dei suoi server. Così come, sempre i detrattori, metterebbero in risalto come il tanto celebrato “ecosistema” digitale, basato sui social media, sia assai presto divenuto una sentina di informazioni-spazzatura, grazie anche agli algoritmi di raccomandazione, e che lo stesso “ecosistema” sia oggi connotato, in maggioranza, da dis/mis-informazione, fake news, teorie cospirative, attacchi cibernetici, guerre narrative, cyber-crime, dark web pedopornografia online e quant’altro.
In molti si sono chiesti se l’unicità di Google – nata all’intersezione di campi disciplinari diversi quali informatica, intelligenza artificiale, scienza dell’informazione, linguistica, ecc. – sia dovuta alla genialità dei suoi fondatori (Levy 2011) oppure se sia stata favorita dall’arretramento dello Stato sociale in ampie porzioni della società, anche a seguito dei processi di globalizzazione e di de-regolamentazione. La crescente penetrazione del mercato, in settori tradizionalmente gestiti da istituzioni pubbliche, ha fatto sì, infine, che le aziende tecnologiche siano divenute un vero e proprio modello tecnocratico, con l’obiettivo di rimodellare le istituzioni sociali e politiche (Morozov 2011).
In questo senso, le Big Tech promuovono, in maniera diretta e indiretta, un ethos basato sul primato della tecnocrazia e del decision making algoritmico rispetto alla politica e all’etica tradizionale. Se questo quadro è plausibile, non è un caso che i tentativi di regolamentazione vengano promossi soprattutto in ambito comunitario, piuttosto che oltreoceano, e che tali tentativi vengano vissuti dalle Big Tech con molto fastidio, come se queste azioni fossero messe in atto da forze anti-democratiche tese a ostacolare il lineare progresso tecnico e le dinamiche del mercato libero e globale. E ciò si vede assai bene anche nella situazione dell’intelligenza artificiale (IA) tanto che, in una visione prospettica le due sfide più insidiose che le Big Tech stanno attualmente affrontando sono proprio quella della regolazione e quella dell’IA: Google con i competitori di sempre, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft, oltre ai nuovi player cinesi Tencent, Alibaba, Baidu.
È indubbio, tuttavia, che la sfida principale sia quella dell’IA non foss’altro perché essa sembra ricapitolare e sussumere in sé proprio l’essenza stessa di Google, vale a dire trasformare tutto ciò che è conoscibile in informazione digitalizzata, in un titanico sforzo enciclopedico teso a raccogliere, indicizzare, classificare, sintetizzare e diffondere tutta l’informazione disponibile a livello globale, senza distinzione di lingue, di tradizioni e di culture.
Da qui l’interrogativo finale: riuscirà la corporation, insieme alle sue consorelle, ad appropriarsi dell’IA, finanche domarla per piegarla ai propri fini, anche commerciali, oppure siamo agli albori, allo “statu nascenti”, di una nuova entità, dai contorni indefiniti, che proverà a sussumere entro di sé quanto sin qui fatto dalla corporation di Mountain View?
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