La vigna e quel contratto d’affitto annullato

Dio non si vendica dei vignaioli omicidi, che uccidono perfino il Figlio, ma dà la vigna ad altri affittuari, perché continui a produrre vino nuovo

Poi, all’improvviso – perché, comunque, alla fine è sempre all’improvviso! – arriva il giorno giusto. Quello pennellato dalla poetessa Alda Merini: “Poi ti trovi che un giorno sei tu ad avere l’arma ma non spari, perché di colpire chi ti ha ferito non te ne importa più nulla”. Chi ti ha fatto le scarpe, invece, mentre te le stava facendo sognava un finale opposto: “Ad un bagno di sangue ci risponderà con un bagno di sangue. Come altro potrebbe risponderci?”.

Hanno personalità i vignaioli ai quali è stata data in affitto la vigna: “C’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna (…) La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano”. Sentono d’aver così tanta personalità, da firmare il più imbecille dei lapsus: confondere la personalità con l’arroganza. “Qualche viaggio insieme avanti e indietro dalla vigna – riflette il Rabbì mentre narra questa parabola agli amici suoi – e la personalità verrà fuori meglio che sul lettino di Freud”.

Lui, con quella vigna, si è giocato tutto ciò che ha: affetti, economia, tempo, pazienza, fantasia. Lì, tra filari e grappoli, ha nascosto il suo cuore di padre, d’innamorato, d’amante. La sua stessa speranza: quella che, dando fiducia agli uomini, quella sua vigna porterà i frutti più belli mai visti prima d’allora.

Ottimista? Non è affatto ottimista il Dio cristiano. Lui, gli uomini, li ha creati e sa troppo bene come sono fatti: non è affatto convinto che la storia andrà a finire bene, dando in affitto la vigna. Eppure, proprio per il fatto di fiutare già il risultato finale, gioca la sua partita più avventurosa: “La vigna, questa mia bellissima vigna, tiene un senso splendido indipendentemente da come andrà a finire questo contratto di affitto”. Comunque vada, Lui ci proverà ad affittarla.

Finisce con il sangue la partita, dopo che tra servi e fittavoli sono calate parole grosse, si sono gonfiate le mani quando il padrone, a fine stagione, ha mandato i suoi servi a riscuotere l’affitto pattuito: e loro “presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono”. Fino a firmare il colpo grosso, secondo i loro calcoli assai imprecisi: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità”. Ucciso il Figlio – è troppo intelligente, il Cristo, per non iniziare ad anticipare, seppur in filigrana, quella che sarà la sua fine – della vigna si sono autoproclamati padroni, loro ch’eran dei semplici affittuari: non c’è giorno, tra quelli vissuti quaggiù, durante i quali l’uomo non abbia la tentazione di mutarsi in belva predatrice, lui ch’è stato creato da Dio coi tratti dell’amante di fine fattura.

A scombussolare i loro piani non sarà il sangue: il padrone, di fronte a quella mattanza, manco ci pensa di sfuggita di rispondere al sangue con altro sangue. Troppo umana come reazione, troppo bassa per Uno dalle altezze così vertiginose: “Non si ha il diritto di tradire chi tradisce – scrisse il buon peccatore Péguy –. I traditori vanno combattuti, non traditi”. E li combatte a modo suo, con un colpo da esperto giocatore: “Darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo” (cfr Mt 21,33-43). Comportandosi così, s’accorgeranno che “li farà morire miseramente” semplicemente mostrando loro che la vigna, la sua bella vigna, andrà avanti oltre loro. Senza loro, che l’hanno usurpata assai.

Al Cristo narratore è chiara la strategia da seguire: nessuna vendetta sarà riservata a chi tenterà di depredare la vigna. Molto più semplicemente verrà loro sciolto anzitempo il contratto, vedendolo assegnare in diretta ad altri. Anche da sconfitto, Cristo resta vincitore: “L’essere sconfitti, il subire una persecuzione è senz’altro una prova. Tuttavia ciò non è niente a confronto dell’altra prova più tremenda: essere vincitori, ed essere tentati di esercitare la persecuzione” (Ch. Péguy). Cristo ha dosi di personalità massiccia addosso: annienta l’arroganza rimanendo in silenzio. Senza per questo apparir così ingenuo da non capire chi, vestito da devoto osservante, si sta organizzando per fargli un giorno le scarpe.

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