Caro direttore,
la questione dell’immigrazione torna periodicamente e prepotentemente all’ordine del giorno dell’agenda politica italiana.
Il tema è strutturale, tanto che i governi di ogni colore politico hanno dovuto affrontarlo senza riuscire a risolverlo.
Che si tratti di problema strutturale lo dimostrano i due interventi del presidente della Repubblica Mattarella che, prima al Meeting per l’amicizia tra i popoli del 2023, poi, più recentemente, a margine di un incontro con il presidente tedesco, ha richiamato l’Unione Europea e i Paesi aderenti a fare la propria parte, spingendosi a definire, con una enfasi inusuale, il Regolamento di Dublino come appartenente alla “preistoria”.
Che la riforma del Regolamento di Dublino sia centrale non v’è dubbio. Il Regolamento di Dublino affronta il problema migratorio in modo del tutto inefficace, perché parte da una prospettiva atomistica.
Il trattato disciplina il tema dell’accoglienza alla frontiera dei migranti con un approccio che non considera il fenomeno nelle sue dimensioni e nella sua complessità, ma, più semplicemente, quale episodio individuale del singolo migrante e della sua famiglia.
Da questa premessa deriva, coerentemente, la regola che considera quale “primo porto sicuro” il territorio del singolo Stato nazionale che si trova per primo ad incontrare il migrante. Su questo Stato incombono quindi gli oneri di accoglienza secondo le regole di Dublino.
Alla luce della situazione attuale è evidente che è la premessa a dover essere rivista.
Come ha detto Mattarella nell’intervento al Meeting, è necessario affrontare i fenomeni migratori per quel che sono: “movimenti globali che non vengono cancellati da muri o barriere”. La consapevolezza della dimensione globale e del carattere irrefrenabile delle migrazioni richiedono quindi una risposta all’altezza della complessità della sfida. In questo senso è sicuramente appropriato il tentativo italiano di coinvolgere l’Unione Europea, stringendo accordi anche con i Paesi nordafricani.
L’iniziativa ha incontrato la disponibilità di Ursula Von der Layen e, più recentemente, della Francia (il cui intervento è però forse dettato anche dall’interesse di non perdere terreno quale interlocutore diplomatico naturale dei Paesi africani).
Il rischio che rimane, tuttavia, è quello di prendere – come nel caso della crisi siriana e dei movimenti dei migranti economici provenienti dal Nordafrica e dalla rotta balcanica – decisioni emergenziali, non sorrette da una visione di lungo periodo.
Per esempio, su proposta della Commissione venivano adottate due decisioni, nel 2015 and 2016, finalizzate al ricollocamento degli immigrati sbarcati in Italia e in Grecia in altri paesi dell’Unione. Tuttavia, la successiva proposta della Commissione, finalizzata ad introdurre un sistema permanente di ricollocamento, veniva ritirata, a seguito della situazione di stallo creatasi in seno al Consiglio. Simile sorte hanno toccato i precedenti tentativi di revisione del Regolamento di Dublino, naufragati in circostanze analoghe.
Questi esempi evidenziano come le politiche migratorie europee, che spesso partono ambiziose in Commissione, siano effettivamente plasmate dagli Stati membri stessi.
Ma se è necessario mantenere vivo il dialogo politico e diplomatico tra Unione Europea, Stati membri e Stati extracomunitari, vi è anche un altro piano da considerare.
È infatti importante sottolineare come oggi la società civile stia facendo molto per alleviare le sofferenze dei migranti e dare una risposta concreta al problema. Tra le tante iniziative che sono nate in Italia e in Europa sono particolarmente degne di lode le sponsorship private dei rifugiati.
Si tratta di progetti finanziati da privati, e supportati in maniera diversa dai diversi Stati che li ospitano, attraverso i quali gli sponsor si impegnano a prendersi carico delle spese di ingresso, mantenimento e integrazione di un rifugiato, o di una famiglia di rifugiati, per un periodo di tempo.
Tra i vari esperimenti al momento presenti in Europa, ricordiamo che l’Italia è all’avanguardia, grazie al progetto dei corridoi umanitari organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio, che hanno permesso l’ingresso in Italia di tante famiglie straniere vulnerabili.
La strada delle sponsorship private è sicuramente un passo verso una sussidiarietà applicata all’immigrazione, e un modo di “percorrere strade diverse”, come suggerito ad agosto proprio da Mattarella.
Solo la valorizzazione della società civile può consentire alle comunità nazionali europei di sfruttare appieno anche le opportunità collegate al fenomeno migratorio.
È infatti allarmante il calo demografico italiano. Le previsioni dell’Istat delineano un quadro inquietante, con una popolazione italiana in netto calo (da 59,6 milioni nel 2020 a 47,6 milioni nel 2070) composta da sempre un maggior numero di persone anziane (si prevede un’età media di 50,7 anni nel 2050).
Queste cifre denunciano chiaramente che l’Italia sarà a breve un “Paese di vecchi”, senza giovani che si prenderanno cura di loro. Come avvenne dopo la seconda guerra mondiale in alcuni Paesi decimati dal conflitto, l’apertura all’immigrazione sarà uno tra gli elementi imprescindibili per la politica demografica.
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