L’Istituto nazionale di statistica ci ricorda mensilmente i livelli di occupazione e disoccupazione che, peraltro, in questo momento registrano i livelli migliori delle serie storiche: 61,5% il tasso di occupazione e 7,3% quello di disoccupazione. La disoccupazione giovanile è al 22%.
Soltanto una volta l’anno, Istat ci mette a conoscenza dei numeri dell’economia non osservata: questa è costituita dalle attività produttive di mercato che, per motivi diversi, sfuggono all’osservazione diretta e comprende, essenzialmente, l’economia sommersa e illegale.
In particolare, le principali componenti dell’economia sommersa sono costituite dal valore aggiunto occultato tramite comunicazioni volutamente errate del fatturato e/o dei costi (sotto-dichiarazione del valore aggiunto) o generato mediante l’utilizzo di lavoro irregolare. A esso si aggiunge il valore dei fitti in nero, delle mance e una quota che emerge dalla riconciliazione fra le stime degli aggregati dell’offerta e della domanda. L’economia illegale, invece, include sia le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibite dalla legge, sia quelle che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati. Le attività illegali incluse nel Pil dei Paesi Ue sono la produzione e il commercio di stupefacenti, i servizi di prostituzione e il contrabbando di sigarette.
A tal proposito, venerdì scorso Istat ha diffuso il nuovo report sull’economia non osservata riferito all’anno 2021, il cui valore ha raggiunto i 192 miliardi di euro. L’economia sommersa si attesta a poco meno di 174 miliardi di euro, mentre le attività illegali superano i 18 miliardi. Rispetto al 2020, il valore dell’economia non osservata cresce di 17,4 miliardi, ma la sua incidenza sul Pil resta invariata (10,5%).
Il dato che, tuttavia, qui più ci interessa è questo: le unità di lavoro irregolari sono 2 milioni 990mila (con un aumento di circa 73mila unità rispetto al 2020). Si tratta di circa il 10% della popolazione attiva.
Dunque, una volta all’anno veniamo a conoscenza di questo indicatore – quello del lavoro irregolare – che pare non interessare a nessuno, visto che nessuno riflette sulle sue implicazioni. Che pur vi sono e pur risultano alquanto significative.
Dentro questo contenitore di lavoro sommerso, certamente vi sarà qualche adulto in transizione lavorativa (maschio piuttosto che femmina), certamente vi saranno casi di chi non intende regolarizzarsi perché percepisce l’indennità di disoccupazione piuttosto che altro genere di sussidio, certamente vi saranno casi di doppio-lavoro, ecc. È tuttavia piuttosto noto che il lavoro irregolare sia il canale di ingresso nel mercato del lavoro dei giovani. E che in molti casi sia anche fenomeno non passeggero ma durevole.
A questo punto, dopo tanti anni che sentiamo questi numeri, qualche domanda dovremmo iniziare a farcela: quando ci rifermiamo a 3,1 milioni di giovani che non studiano e non lavorano – in buona sostanza, nullafacenti – di chi parliamo? Sarà pur vero che in Italia vi sono casi di inattività, ma come si rapportano i numeri del lavoro sommerso ai numeri dell’inattività?
È vero che le rilevazioni Istat per i monitoraggi occupazionali seguono le indicazioni Eurostat, ma la fotografia che ci viene mensilmente restituita ci pare sempre meno fedele alla realtà. Ultimamente, peraltro, si sono registrati casi di denuncia da parte dei giovani della loro condizione di lavoro irregolare: il primo ha ripreso col telefonino il datore di lavoro che voleva dargli 20 euro per una prestazione di sei ore; il secondo caso è quello più celebre di Emma Muzzon che ha comunicato in un video su TikTok di aver denunciato il suo datore di lavoro perché la costringeva a lavorare in nero.
La piaga del lavoro sommerso in Italia è continuamente coperta dal mito dei giovani fannulloni. Questo non solo insiste a darci un’immagine falsata dei giovani e del Paese, ma continua a legittimare il lavoro nero.
Twitter: @sabella_oikos
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