Se gli exit poll avranno ragione su voti e seggi – e nell’incandescente nottata elettorale polacca nulla può essere escluso – il PiS (Legge e Giustizia, al Parlamento Ue con i conservatori di Ecr) resta il primo partito a Varsavia, ma rischia seriamente di finire all’opposizione. La forza conservatrice che ha fin qui sostenuto il premier Mateusz Morawiecki – e che ha governato il Paese per due legislature – in una tornata caratterizzata da un’affluenza record superiore al 70%, avrebbe lasciato sul terreno una trentina di seggi decisivi per gli equilibri alla Camera bassa. Pressoché tutti sarebbero andati ai partiti di opposizione: anzitutto a Piattaforma Civica, guidata dall’ex premier popolare Donald Tusk, ma anche alla coalizione centrista Terza Via (che in Europa si riferisce sia al Ppe, sia ai liberali di Re). Assieme a Nuova Sinistra (socialdemocratici), Tusk avrebbe sulla carta i numeri sia alla Camera bassa che al Senato. Al Pis, invece, non basterebbe la manciata di seggi raccolti dalla Confederazione di ultra-destra.
Si profila quindi una replica di quanto avvenuto in Spagna in luglio e che ora – con attese rafforzate – potrebbe concretizzarsi nel voto anticipato olandese, previsto per il mese prossimo. In un Parlamento sostanzialmente “impiccato” da un elettorato fortemente polarizzato, il centrodestra non conquista – o perde di misura – la forza per governare, ma a favore di “armate Brancaleone” di opposizioni frammentate: cementate unicamente dall’obiettivo di contenere o spodestare maggioranze unilateralmente giudicate “a rischio democratico”, con il supporto di pressioni esterne ai limiti dell’ingerenza.
In Polonia è stata simbolica la presenza in campo di un ex presidente del Consiglio Ue come Tusk: al vertice della nomenklatura di Bruxelles fra il 2014 e il 2019, all’apice dell’era “euro-tedesca” di Angela Merkel. È da allora che la Polonia è divenuta oggetto di pressioni sempre più pesanti da parte dell’establishment Ue: che ha preso di mira la Polonia del leader Pis Lech Kaczynski assieme all’Ungheria di Viktor Orbán con l’accusa di non rispettare appieno lo stato di diritto Ue. Contro entrambi i Paesi-guida dell’Est europeo Bruxelles non ha esitato a usare l’arma del congelamento dell’erogazione di fondi Ue, soprattutto di quelli del Recovery Plan.
Soltanto la deflagrazione della guerra russo-ucraina – nella quale la Polonia ha recitato fin dal primo giorno il ruolo della principale retrovia Nato e di grande rifugio per i profughi di Kiev – ha temporaneamente congelato le tensioni: anche per l’appoggio determinante che a Varsavia è continuato a giungere dagli Usa, desiderosi di un caposaldo politico-militare affidabile nell’Ue orientale. Ma già negli ultimi mesi l’offensiva mediatica contro la Polonia è ripresa a pieno regime: a cominciare da una Germania indebolita anzitutto nella sua maggioranza rosso-verde. È stata lanciata da Berlino l’ultima accusa controversa su un presunto traffico di visti, in Polonia, per l’ingresso di rifugiati e immigrati nell’Ue. Un fronte caldissimo per un cancelliere socialdemocratico assediato dai nazionalisti di AfD.
La pre-vittoria di Tusk – subito salutata com un successo storico dai media “dem” occidentali – rischia comunque di complicare lo scenario geopolitico in una fase delicatissima. La Polonia formato PiS è stata finora architrave granitico del fronte Nato verso Russia e Bielorussia. Una nuova Polonia “europeista” dovrebbe di per sé rimarcare un atteggiamento più riflessivo nella “resistenza occidentale” all’espansionismo bellicista russo: una postura più aderente alle ricorrenti prese di distanze segnalate anzitutto da Germania e Francia. E va da sé che gli Usa di Joe Biden (che ha visitato Varsavia poche settimane dopo il primo blitz di Vladimir Putin) non se lo sarebbero augurati, proprio nei giorni dell’ennesimo terremoto mediorientale.
La vera “prova del nove” della possibile “svolta polacca” si avrà peraltro fra sette mesi, con il voto di rinnovo proporzionalista del Parlamento europeo: nel quale i pacchetti di voti del PiS (alleato a Strasburgo di FdI di Giorgia Meloni) rimarranno pesanti. E dove la polarizzazione persistente degli elettorati continuerà a incidere in Polonia e nell’Ue alla vigilia di scelte del massimo impegno. Gli agricoltori polacchi – e con loro i minatori – sono e restano contrari a una transizione verde accelerata secondo le linee decise a Bruxelles da Frans Timmermans: un altro “mandarino” di Bruxelles che spera ora di seguire le orme di Tusk come candidato premier del centrosinistra in Olanda.
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