Decimo giorno di guerra. L’esercito di Israele è pronto, ma entrerà a Gaza solo quando l’esodo degli abitanti della Striscia sarà tale da ridurre al minimo le perdite civili, hanno dichiarato i vertici militari israeliani. Intanto il governo Netanyahu deve fronteggiare le molte preoccupazioni straniere, a cominciare dalla diplomazia americana, che teme una risposta israeliana non proporzionata a Gaza, oltre al coinvolgimento dell’Iran. Ieri il presidente americano Biden ha dichiarato che Hamas deve essere eliminato, aggiungendo però di considerare la possibile occupazione di Gaza da parte di Israele “un grosso errore”. Dunque il fattore tempo, come avevamo anticipato, sembra giocare contro Israele.
Scioglie invece ogni dubbio, a cominciare dalla spinosa questione della “proporzionalità”, Sergio Della Pergola, statistico italiano naturalizzato israeliano, professore emerito di demografia nell’Università Ebraica di Gerusalemme. In Israele dal 1966, già presidente della Hevrat Yehudè Italia, la comunità ebraica italiana in Israele, è il massimo specialista della demografia della diaspora ebraica e di Israele ed è stato consulente del presidente di Israele e del governo.
Molti errori sono stati fatti, spiega Della Pergola al Sussidiario, ma adesso Israele è pronto ad inaugurare un “cambio di paradigma”.
Professore, Israele vuole ripristinare la deterrenza ed è più che comprensibile. Ma qual è la strategia?
La strategia israeliana ha diverse dimensioni e l’aspetto simbolico è certamente più importante di quello militare. Ma non si tratta più di agire con maggior forza perché un episodio come la strage del 7 ottobre non si ripeta. Sono stati massacrati in modo efferato oltre mille civili, sgozzati, bruciati vivi, donne stuprate, bambini decapitati, intere famiglie sterminate. Non è guerra, è genocidio. Mi sembra che questo aspetto sfugga alla sua domanda.
Ci spieghi meglio.
Lei fa una considerazione di tipo politico-militare, qui invece stiamo parlando di un evento completamente diverso. Se è un genocidio, e non è possibile dubitarne, i suoi fautori vanno eliminati in modo definitivo. Inizialmente avevo anche io qualche esitazione sulla narrativa da seguire, poi mi sono ricreduto.
Dunque non è neppure un problema di legittimità della controparte.
No, non lo è. Il paradigma più appropriato è quello della Germania nazista. Sono nato nel 1942, sono sopravvissuto alla Shoah, sotto l’occupazione tedesca ho perso 14 membri della mia famiglia. La seconda guerra mondiale non si è conclusa con una trattativa, non era consentito. Poteva finire soltanto con la distruzione totale di una delle due parti belligeranti, e solo questo ha permesso di creare un ordine diverso, rappresentato solo in parte da forze già esistenti, in maggior parte nuove. Non escludo che chi ha votato Hitler nel ’33 possa avere votato Adenauer nel ’49, ma Adenauer è una nuova pagina della Germania.
Anche Hamas ha dietro il consenso dei palestinesi.
È questo il punto. Come si fa – si dice in Occidente – a non trattare con Hamas, che ha un ampio sostegno popolare? È vero, i palestinesi hanno votato Hamas, ma i tedeschi avevano votato Hitler, e gli italiani Mussolini (il 99% nel 1934). Hamas ha nel suo statuto, che non è abbastanza letto, la distruzione non solo dello Stato di Israele, ma degli ebrei come tali. Lei sa cosa dice?
No, in effetti.
“L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo”. È il programma di una liberazione etnica, un “etnocidio”.
Che cosa ne consegue, sul piano militare e politico?
La risposta dovrà essere più che proporzionale rispetto all’offesa subita. La storia, purtroppo, ci insegna che il deterrente talvolta viene ristabilito a caro, carissimo prezzo. Ricordiamo il bombardamento incendiario di Dresda nel 1945, e il finale a Hiroshima e Nagasaki. Ora Israele ha per obiettivo di annullare la dirigenza politica e militare di Hamas che si trova a Gaza. A cominciare dal massimo esponente, il leader politico Yahya Sinwar.
Negli ultimi due giorni l’esercito israeliano ha rivendicato l’eliminazione di Ali Qadi e di Ma’tez Eid, due dei molti comandanti di Hamas. Però la dirigenza suprema dell’organizzazione sarebbe altrove.
Certamente, si trova in Qatar. In ogni caso è da Gaza che si deve cominciare, dai camminamenti sotterranei, e dopo Qadi toccherà a Mohammed Deif e poi a Sinwar. Essi sono sicuramente nascosti nei bunker a Gaza. Nessuno che sia di Hamas e che sia accanto a loro può ritenersi al sicuro.
È vero che la stanza delle operazioni di Hamas è sotto l’ospedale al-Shifa di Gaza?
È un segreto di pulcinella. Finora Israele ha avuto un certo ritegno a bombardarlo, anche se l’ospedale di Ashkelon è già stato centrato due volte dai razzi di Hamas. Israele rispetta le regole internazionali, ma i terroristi sono liberi di violarle senza alcuna indignazione generale.
Israele cosa pensa di fare dei palestinesi?
Nessuno in Israele ha l’idea folle di annullare il popolo palestinese. Va concepito un nuovo tipo di alleanza e di gestione che coinvolga rappresentanti del mondo musulmano moderato, che fin dal trattato di pace con l’Egitto del ’79, poi con la Giordania nel 1994 e infine con gli accordi di Abramo si è andato progressivamente allargando.
Come si può procedere?
Dopo la distruzione di Hamas si tratta di individuare nuovi interlocutori, di instaurare un nuovo sistema di governo e di fare la ricostruzione. I soldi non mancano in Medio Oriente, ma neppure in Occidente o in Cina.
Venerdì Israele ha dato alla popolazione di Gaza l’ultimatum di sgombero, a cominciare da nord, innescando l’esodo verso il sud della Striscia. È questo l’obiettivo, usare le operazioni militari per sgomberare la Striscia una volta per tutte?
No. Il piano è evitare il maggior numero possibile di perdite civili, anche se queste purtroppo sono legate alle operazioni militari. Israele sa benissimo che uccidere un terrorista con il sangue sulle mani e uccidere una madre sono due cose completamente diverse. Non così Hamas, che al contrario è entrato in Israele con il preciso obiettivo di uccidere civili. C’è una differenza di civiltà.
Le bombe israeliane avrebbero causato molti morti, almeno un migliaio, secondo Hamas 2mila nel nord della Striscia, cadendo anche sulle vie di evacuazione. Cosa dice Israele?
Hamas impedisce attivamente l’evacuazione temporanea dei civili, con posti di blocco e minacce, perché Hamas è cinicamente interessato a massimizzare le perdite civili della propria popolazione.
Come mai, nonostante lo statuto di Hamas, negli ultimi 18 anni, cioè dallo sgombero degli ultimi israeliani dalla Striscia, ci sono state così tante trattative?
È stata una attestazione della volontà di Israele di arrivare pragmaticamente ad una soluzione, pure da premesse inconciliabili. Da parte israeliana, forse ingenuamente, si era arrivati nei mesi più recenti ad un notevole attenuamento della pressione: è stato permesso il fiume di denaro che viene soprattutto dal Qatar, soldi che in teoria dovevano aiutare lo sviluppo della popolazione, ma che in realtà sono finiti in armi. Sono stati concessi 20mila permessi ai lavoratori frontalieri di Gaza. Non è servito a far cessare gli attacchi terroristici, che in realtà sono iniziati nel 2006 poco dopo l’evacuazione di Gaza da parte di Israele, incluso lo sgombero di 13mila abitanti israeliani. A maggior ragione serve un cambio di paradigma. Ma Hamas, ora sappiamo, preparava l’operazione di strage già da due anni.
Israele è accusato di aver fatto diventare Gaza una prigione.
È solo uno stupido slogan. Gaza è un rettangolo: se Israele chiude due lati restano il mare e il lato egiziano. L’Egitto è un Paese arabo e musulmano, sarebbe logico pensare che la strada sia sempre aperta. Bisogna chiedersi non tanto perché Israele chiude il confine, ma perché lo fanno gli egiziani. Eppure è una domanda che non leggo mai sui giornali italiani.
Non ritiene che a monte della questione arabo-israeliana ci sia una obiezione molto più profonda, almeno da parte araba, quella riguardante la legittimità dello Stato ebraico?
Lo so benissimo: è un discorso che fa risalire tutto all’occupazione dei territori. Ma è una falsità lampante. L’occupazione è del 1967, ma ci si dimentica che la guerra di indipendenza è avvenuta nel ’48 dopo che l’Onu aveva deliberato la creazione di due Stati, uno arabo ed uno ebraico, sul territorio del mandato britannico. I Paesi arabi confinanti reagirono invadendo con le loro truppe la Palestina cercando di annientare la parte ebraica. Perché le potenze arabe, a differenza di Israele, non hanno mai costituito il nuovo Stato arabo palestinese? Questa entità non è mai esistita, ma per volontà del mondo arabo; perché non si dice?
Israele ha bombardato alcune postazioni di Hezbollah in Libano. Secondo lei i miliziani del “Partito di Dio” interverranno?
Israele ha cannoneggiato in Libano in risposta a razzi, colpi di mortaio, penetrazioni di piccoli velivoli e infiltrazioni di terroristi, anche palestinesi, al confine. Il sostegno dell’Iran a Hezbollah è manifesto, spero che lo scontro non sia inevitabile, anche se un intervento più massiccio di Hezbollah è probabile, nella misura in cui Israele aumenterà la sua pressione su Gaza e su Hamas. Ma l’esercito non si farà prendere alla sprovvista questa volta.
È sensato supporre che Hezbollah non si muoverà per due ragioni, la prima che il Libano è in gravissima crisi, la seconda che la reazione di Israele sarebbe durissima?
Del Libano in crisi non gliene importa nulla, perché il loro cinismo è totale: è anche merito di Hezbollah se oggi quel Paese è uno Stato più virtuale che reale. Per loro contano solo le istruzioni che vengono da Teheran, oltre a quanto suggerito dalla matrice di fanatismo ispirata da Nasrallah. Va però detto che gli Usa hanno mandato nel Mediterraneo orientale la portaerei Ford, e una seconda portaerei è in arrivo, i cui missili possono facilmente raggiungere Teheran e la cui deterrenza si aggiunge a quella atomica di Israele. Questa volta, però c’è una grande incognita.
Quale?
La deterrenza implica un ragionamento basato sulla commisurazione di guadagni e perdite che non si applica alla mentalità del mondo islamico fondamentalista. Gli sviluppi, in altri termini, sono imponderabili, e la situazione è molto tesa.
Quali sono le responsabilità del Governo Netanyahu in questa crisi?
Ci sono e sono gravissime. Non c’è dubbio per quanto riguarda Israele che il principale, se non l’unico responsabile della catastrofe sia proprio lui, Netanyahu. È un accentratore che ha fatto il vuoto politico nel suo partito, circondandosi di mezze figure e portaborse senza valore, e ha creato un Governo di destra-destra, includendo la destra peggiore, quella ultra-nazionalista e messianica, quando serviva invece un’ampia coalizione basata anche sulle forze moderate di centro e di centro-sinistra.
Perché Netanyahu non ha fatto questa scelta?
Perché è totalmente asservito al proprio interesse personale. È sotto processo per tre capi di accusa, truffa, corruzione, e abuso di potere, e per evitare una condanna aveva bisogno di una coalizione super-asservita che lo appoggiasse in qualunque iniziativa politica, compresa quella di una riforma della giustizia fatta apposta per esautorare la Corte suprema e cambiare la democrazia israeliana, facendola diventare molto simile all’Ungheria di Orbán e alla Russia di Putin. Si è ritrovato metà Paese in piazza.
Qualcuno ne ha approfittato?
Direi di sì. Netanyahu ha creato un governo arroccato di persone incompetenti, ha alimentato lo scontento, si è vista perfino una protesta nei ranghi dell’esercito. A quel punto alcuni “osservatori” hanno pensato che il Paese era così indebolito che si poteva pugnalarlo alle spalle. Un errore di valutazione, perché dopo i massacri del 7 ottobre tutti si sono arruolati. Oggi Israele è nuovamente coeso e la macchina della sicurezza ha ripreso completamente la sua funzionalità.
Come giudica il nuovo governo di emergenza?
Positivamente. Al vertice c’è ora un triumvirato che comprende Netanyahu, il ministro della Difesa Gallant, e Benyamin Gantz, uno dei capi dell’opposizione ed ex ministro della Difesa. Gantz, a differenza di Lapid che non voleva entrare in un “letto malato”, ha fatto la cosa giusta. Dà un grande senso di fiducia ai militari e civili sapere che accanto al volante c’è un altro guidatore in grado di reindirizzare il percorso. Inoltre un sondaggio uscito venerdì mattina assegna a Gantz una clamorosa vittoria in caso di voto, e a Netanyahu una clamorosa sconfitta.
Cosa dicono i numeri?
Secondo il sondaggio, oggi il governo otterrebbe 42 seggi, contro i 64 attuali, e l’opposizione 78, contro i 56 attuali. Tra i partiti, Gantz otterrebbe 41 seggi contro i 19 di Netanyahu. Ma chiaramente non si vota oggi e si potrà farlo solo dopo la fine della guerra.
In che modo politici e militari pensano di affrontare il problema degli ostaggi nelle mani di Hamas?
È un tema spinoso, un vero problema di coscienza. I vecchi schemi dicevano di salvare ogni vita quasi ad ogni prezzo, e per salvare il caporale Shalit abbiamo liberato 1027 terroristi di Hamas, uno dei quali era nientemeno che il leader attuale Sinwar, e un altro era il suo numero 2 Saleh al-Arouri, leader delle brigate al-Qassam. Con oltre 100 ostaggi il ragionamento non può più funzionare.
Ci sono soluzioni?
Una potrebbe essere: voi ci restituite tutti i prigionieri vivi e salvi, e noi sospendiamo i bombardamenti. Però ci consegnate i tre capi di Hamas. Ma è solo una mia idea.
C’è una trattativa in corso?
Sicuramente no, anche se esistono tentativi esterni. La posizione dichiarata, ufficiale, è che prima Israele terminerà l’operazione e poi si parlerà degli ostaggi. È vero che molto spesso la realtà è diversa.
Cosa significa?
Esiste il rischio che durante un bombardamento israeliano ci siano dei prigionieri che perdono la vita. Hamas ha detto che quattro ostaggi sarebbero già morti per questo motivo; non sappiamo se sia vero, non sappiamo nulla, neppure se i prigionieri siano stati dislocati in posti diversi o radunati. Ma per come è Gaza, mi sentirei di escludere una nuova Entebbe. Ma, alla fine, tutto è possibile.
(Federico Ferraù)
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