È da circa una settimana che i principali analisti internazionali si chiedono cosa non abbia funzionato nell’ambito dell’intelligence israeliana. Ebbene, possiamo arrivare ad alcune conclusioni ampiamente dimostrabili almeno fino a questo momento.
In primo luogo l’intelligence israeliana era certamente in possesso di indicatori di avvertimento relativi all’attacco e questi indicatori sono stati valutati in modo errato. Nello specifico la divisione di intelligence delle Forze di difesa israeliane (IDF), nota come intelligence militare israeliana (IMI), e l’Agenzia per la sicurezza israeliana (ISA), monitorano Hamas da anni. Sappiamo che queste due agenzie hanno condotto una valutazione della situazione circa due settimane prima dell’attacco del 7 ottobre. La valutazione formulava una conclusione molto chiara e cioè che Hamas non aveva alcun interesse ad attaccare Israele a breve termine. Questa previsione è stata comunicata al primo ministro israeliano e al ministro della Difesa.
Al contrario Abbas Kamel, direttore della Direzione generale dell’intelligence egiziana, ha inviato un avvertimento a Israele pochi giorni prima dell’attacco di Hamas, indicando che sarebbe avvenuta una terribile operazione che stava per aver luogo dalla direzione di Gaza. L’avvertimento è stato inoltrato all’ufficio del primo ministro Netanyahu. Il giornale israeliano che ha pubblicato questo rapporto, Yedioth Ahronoth, è noto per la sua seria reputazione e le fonti di qualità all’interno dell’establishment egiziano.
Ora, il primo ministro israeliano ha volutamente ignorato questo avvertimento. Persino un autorevole membro del Congresso americano e cioè Michael McCaul, presidente della commissione Esteri della Camera, ha dichiarato l’11 ottobre: “Sappiamo che l’Egitto […] ha avvertito gli israeliani tre giorni prima che un evento come questo potrebbe accadere”. Una fonte del governo egiziano ha anche affermato che i funzionari dell’intelligence egiziana hanno avvertito le loro controparti israeliane che Hamas stava pianificando “qualcosa di grande” in vista dell’assalto a sorpresa del 7 ottobre. Ma questi avvertimenti sono stati ignorati.
In secondo luogo, l’11 ottobre, un portavoce dell’IDF ha ammesso che, la sera prima dell’attacco, sono stati rilevati movimenti sospetti da parte degli agenti di Hamas vicino alla recinzione perimetrale che separa Gaza da Israele. Tuttavia, secondo il portavoce, “non c’è stato alcun avviso di pericolo per questo incidente“.
In terzo luogo dobbiamo ricordare che la raccolta di intelligence israeliana sulle minacce che provengono dalla Striscia di Gaza si basa su una divisione di responsabilità: l’IMI è tradizionalmente responsabile della raccolta di informazioni attraverso segnali e intelligenza visiva, mentre l’ISA è responsabile della raccolta di informazioni attraverso l’intelligence umana. Va notato che i leader dell’ala militare di Hamas erano consapevoli delle capacità di intelligence di Israele. Ecco perché hanno evitato di utilizzare canali di comunicazione digitale per organizzare il loro attacco, il che ha reso molto difficile intercettare informazioni preziose.
In quarto luogo l’ISA non è riuscita a penetrare nella cerchia ristretta di Hamas e quindi non è riuscita a emettere un allarme precoce per l’attacco del 7 ottobre.
In quinto luogo, Hamas ha utilizzato un sistema di compartimentazione molto rigoroso, permettendo solo a pochi di avere un quadro delle sue intenzioni e del suo piano di attacco.
Ma indubbiamente ci sono altre considerazioni da formulare. Come sappiamo la Striscia di Gaza è monitorata in modo capillare: infatti le torrette non vengono mai lasciate vuote e vi è una rigorosa disciplina nel modo in cui vengono organizzati i turni. Il minimo allarme dei sensori determina l’immediato dispiegamento di una pattuglia di terra e in contemporanea vengono inviati droni da ricognizione tattica per monitorare visivamente la situazione. Cosa è accaduto allora alle torrette di sorveglianza poste sulla Striscia di Gaza? Le torrette di sicurezza sono state distrutte in luoghi chiave da cariche esplosive piazzate da Hamas su mini-droni commerciali prima dell’attacco a terra, senza essere rilevate. I militanti palestinesi non possono utilizzare i loro droni commerciali a una distanza di oltre tre chilometri; quindi erano teoricamente all’interno del perimetro di sorveglianza del sistema del Muro di Ferro quando sono stati lanciati gli attacchi alle torri.
Ora, in generale i sistemi di intercettazione anti-drone sono in grado di solito di respingere attacchi di natura aerea, ma i mini-droni commerciali sono molto più piccoli di quelli militari e quindi non sono stati rilevati dai radar dei sistemi di difesa aerea di Iron Dome, che sono responsabili dell’intercettazione dei razzi e che si trovano a circa 15 chilometri dalla recinzione di sicurezza del Muro di Ferro.
Tra l’altro, questo fallimento tecnologico ha indotto il 10 ottobre il capo di stato maggiore congiunto della Sud Corea, Kang Shin-chul, ad affermare la possibilità che la Nord Corea effettuasse un attacco simile contro la Sud Corea. Ha osservato, infatti, con preoccupazione che i sistemi di sorveglianza delle frontiere erano stati neutralizzati e resi inefficaci prima dell’attacco di Hamas. Infatti il sistema di sorveglianza installato lungo la zona smilitarizzata con Pyongyang è stato originariamente progettato da Elbit Systems e modellato sulla tecnologia utilizzata a Gaza. Ma anche gli Stati Uniti usano lo stesso sistema lungo tutto il confine con il Messico.
In sesto luogo, all’interno del gabinetto di sicurezza (che è certamente l’elemento chiave dell’apparato di intelligence israeliana ed è composto dal primo ministro e dai capi dell’intelligence) ci sono state delle profonde divisioni. Non solo: il gabinetto è stato convocato di rado dal primo ministro che ha invece preferito fare affidamento sulle analisi dello Shin Bet. Il primo ministro ha monitorato le ultime operazioni militari contro la Jihad islamica nel mese di maggio proprio facendo riferimento alle analisi date dal quartier generale dello Shin Bet. Ora, questo servizio di sicurezza israeliano ha concentrato tutte le sue analisi sulla Cisgiordania a causa della grave situazione nella quale questa zona si trova. E proprio la Cisgiordania è stata fra i punti principali all’ordine del giorno dell’incontro del direttore dello Shin Bet con la Cia a Washington il 1° giugno.
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