Ancora si attendono tutti dettagli della Legge di bilancio approvata lunedì dal Governo e Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, ci spiega che «se il Pil dovesse crescere anche solo di un mezzo punto in più delle previsioni, cosa già accaduta in passato e non impossibile, allora il progetto di bilancio che è stato presentato diventerebbe credibile. Dovessi usare una metafora, direi che non ho molti dubbi sul fatto che il nostro Paese, che è come un barca che ha qualche piccola falla da cui entra un po’ d’acqua nella stiva, possa galleggiare. Il problema è che non sa dove andare. L’Europa è messa un po’ meglio, ma di fatto è nelle stesse condizioni».
Tra l’altro ancora non si è trovato un accordo sulla riforma del Patto di stabilità e crescita. Ci si riuscirà entro la fine dell’anno?
Bisognerà riuscirci. Dal punto di vista economico, mi sembra che in Europa la situazione più critica sia quella della Germania. A guardar bene, è meno presente di un tempo in diversi settori. Inoltre, si stanno diffondendo situazioni di ritardi nella realizzazione di infrastrutture piuttosto che negli orari dei trasporti. Cose a cui noi italiani siamo abituati, mentre i tedeschi no. Anche per questo nel Paese teutonico c’è una certa inquietudine, come si è visto nei risultati delle elezioni regionali.
Intanto spirano venti di guerra dal Medio Oriente. Se il conflitto in atto dovesse allargarsi sarebbe l’Europa a rischiare di più sul piano economico?
Certamente abbiamo una vulnerabilità, sia sul Medio Oriente, sia sull’Ucraina, che deriva, in primo luogo, dalla nostra posizione geografica, e poi dal fatto che ci sono dei flussi economici che sono toccati o possono potenzialmente esserlo da questi due conflitti. Per l’Ucraina si tratta soprattutto di grano, fertilizzanti e componenti elettronici, mentre per quel che concerne il Medio Oriente si sta parlando tanto delle materie prime energetiche, ma poco del Canale di Suez. Se per caso venisse bloccato il transito delle navi, sicuramente ne saremmo danneggiati. Questi sono i rischi che vedo, ma a volte la realtà supera anche le nostre aspettative, per cui possiamo aspettarci di tutto.
Alla luce di questi rischi, ritiene che ci vorrebbe più prudenza da parte delle Banche centrali?
È una domanda cui non è semplice rispondere, perché dal punto di vista tecnico stiamo parlando di rischi che acuiscono la lentezza con cui l’inflazione sta scendendo. Le Banche centrali potrebbero, quindi, anche essere indotte ad alzare ancora un po’ i tassi. C’è, però, anche da dire che una parte di questa inflazione dipende da criticità che non possono essere contrastate dalle Banche centrali con l’arma dei tassi, come ad esempio la siccità, che influisce sui prezzi dei prodotti agroalimentari e, di conseguenza sul carrello della spesa e sull’inflazione. Ci vorrebbero interventi mirati con sussidi, anche solo per evitare che gli agricoltori smettano di seminare, acuendo il problema.
Intanto a Pechino si è aperto il Forum sulla Via della Seta. La Cina punta ancora sulla Belt and Road Initiative?
Credo che la Via della Seta sia completata, nel senso che Pechino non metterà altre risorse visto che la formula ha mostrato alcune debolezze, soprattutto per quanto riguarda la restituzione dei prestiti e l’effettivo controllo delle infrastrutture. Questo non vuol dire che verrà smantellata, anzi penso che la Cina cercherà di farla funzionare meglio, ma non sarà semplice, soprattutto in Africa.
Perché?
Se guardiamo a quello che è avvenuto in Africa negli ultimi 2-3 anni possiamo vedere, per esempio, che è cominciato lo sganciamento dal Franco CFA e che è nata la prima agenzia di rating del continente; insomma, stanno succedendo molte cose sull’altra sponda del Mediterraneo, nonostante noi ci concentriamo sulle guerriglie, i disordini o le catastrofi naturali. Per questo non mi sembra male la proposta di Prodi volta a creare università mediterranee per costruire legami più saldi tra Europa e Africa. Cosa che tra l’altro faciliterebbe l’allontanamento dall’influenza cinese.
Vedendo, infine, il fronte americano, la situazione economica non appare priva di rischi per Biden in vista delle presidenziali dell’anno prossimo…
Prima ancora che le criticità sul fronte economico-finanziario, credo ci siano degli interrogativi sulla salute del Presidente in vista di un nuovo mandato. Poi ancora non è stato scongiurato lo shutdown, stante l’impasse non ancora risolta sulla nomina del nuovo speaker della Camera dopo la sfiducia a McCarthy. C’è, quindi, una forte debolezza degli Usa, forse compensata da un’economia che tiene meglio di quella europea, ma dove, a guardar bene, le spaccature sociali restano forti.
(Lorenzo Torrisi)
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