Il conflitto in Medio Oriente ha penalizzato l’andamento delle due principali asset class nel corso dell’ottava che si è conclusa. I listini azionari, così come i contrapposti mercati obbligazionari, capitolano in territorio negativo e, pur riportando differenti performance da inizio anno, evidenziano, comunque, una medesima dinamica ribassista nelle recenti quotazioni.
Attualmente, a evitare una debacle, sono le materie prime che, complice l’escalation del conflitto Israele-Hamas, ritrovano vigore poiché favoriti dal rialzo del comparto energy quale principale constituent dell’intero paniere. Il perdurare del conflitto e i potenziali rischi di un allargamento dello stesso potrebbero influenzare le prossime sedute e, non è un caso, come tra gli addetti ai lavori si possa optare per un prudenziale alleggerimento delle posizioni (ancora) in essere beneficiando, almeno, degli attuali risultati finora conseguiti. Di fatto, un successivo atteggiamento di attesa favorirebbe oltre al consolidamento delle performance un plausibile riposizionamento a prezzi migliori (rif. equity) e, parallelamente, a beneficiare di un maggior rapporto YTM (yield to maturity) in capo alla componente bond (rif. governative).
Ad approcciare questo scenario “di attesa” sembrano essere disposte le stesse banche centrali Fed e Bce che, preso atto dell’importante ridimensionamento dell’inflazione, in vista dei prossimi appuntamenti di politica monetaria vedrebbero come unica loro difficoltà la formulazione di un accomodante comunicato stampa e relativo commento a margine: probabilmente, rispetto al passato, “le parole” che saranno pronunciate avranno un sicuro impatto soprattutto in ottica di brevissimo termine (rif. attuali rendimenti obbligazionari dei titoli di Stato Usa).
Focalizzando l’attenzione al mercato azionario internazionale e al suo principale rappresentate MSCI World Usd non può essere sottovalutato il ritracciamento finora avvenuto rispetto ai massimi di anno: a oltre nove punti percentuali corrisponde la discesa delle quotazioni mentre, all’opposto, rimangono in essere i “soli” sette punti di rialzo quale performance YTD (year to date).
A penalizzare l’attuale momentum giunge, purtroppo, la chiusura settimanale appena archiviata con un prezzo finale a quota 2.791,24 punti che, dal punto di vista tecnico, conferma la violazione dell’importante media mobile a 50 osservazioni weekly. In chiave algoritmica, inoltre, l’intero palinsesto degli indicatori impiegati non esclude nuovi minimi di periodo (inferiori a 2.788,34 punti) con preoccupanti implicazioni a favore di un proseguimento in direzione di area 2.711 punti (transito della media mobile a 200): se ciò dovesse accadere appare inevitabile, fin da ora, paventare un 2023 sotto la parità. Un possibile argine a tale deriva viene individuato attraverso il superamento di soglia 2.854 punti come vero e proprio livello di salvaguardia a tutela dell’ultima parte dell’anno.
Anche sul versante obbligazionario si vive di precarietà e, a confermarne lo stato, è il rendimento dei titoli decennali statunitensi giunti oltre il 5% ovvero ai valori del lontano 2007. Ovviamente, a quest’ultimo rialzo, ha corrisposto il nuovo minimo del sottostante Usa con, implicitamente, l’onda d’urto sul consueto JPM GBI Gl. Usd ormai a quota 455,37 punti.
Da sottolineare come, nel corso delle ultima ottava, il benchmark governativo internazionale abbia raggiunto i 453,96 punti ossia l’area di prezzo indicata in precedenza coincidente a un nostro definito «naturale arresto». Oggettivamente, a seguito di questo rilevante livello, non possiamo omettere l’ipotesi di un successivo approdo in corrispondenza del supporto statico a 448,29 punti che, in caso di cedimento, riporterebbe le quotazioni all’ancor più lontano 2010. Operativamente la nostra view accumulate rimane confermata con, ora, un particolare interesse alla parte breve della curva dei tassi di interesse (anche Usa) poiché eventuali discese dei prezzi saranno sinonimo di opportunità (rif. YTM) in ottica di brevissimo termine.
Sulle materie prime (rif. CRB Index) l’outlook appare contrastato. Il recente upside palesa un possibile quadro tecnico improntato a una ritrovata positività che, beneficiando di altre spinte rialziste, vedrebbe un ottimistico traguardo in prossimità della soglia psicologica dei 300 punti.
A tal proposito, una conferma potremmo averla mediante il ritorno dei prezzi oltre quota 289,57 punti che, se mantenuta, proietterebbe i corsi all’interno di una ottimistica dinamica rappresentata dal canale ascendente tracciato in corrispondenza dei minimi di anno (253,84 punti). Un concreto ostacolo a questa anticipata interpretazione viene identificato con un CRB Index a quota 278,95: un livello apparentemente poco concreto se contestualizzato ai conflitti bellici in essere. Al momento, in capo alle commodities, privilegiamo un approccio maggiormente diversificato e, pertanto, l’impiego dello stesso benchmark risulta più efficiente. Viceversa, sui singoli sottostanti appartenenti ai rispettivi basket (energy e metals) concentriamo l’attenzione al paniere metals continuando a monitorare gli andamenti di rame e nickel (pressoché prossimi a una potenziale inversione), mentre, tra i cosiddetti “preziosi”, preferiamo l’argento al più consueto lingotto.
Il versante valutario ci vede obbligatoriamente interessati alle quotazioni del principale cross Eur/Usd: nonostante l’obiettivo grafico sembra orientarsi (nel breve/medio termine) al raggiungimento della parità, non si possono escludere eventuali allunghi oltre area 1,07. Attendiamo.
Preso atto dell’attuale drammaticità degli eventi e di un loro eventuale peggioramento, ai “non addetti ai lavori”, verrebbe naturale astenersi da ogni tipologia di investimento. Oggi, a questa soggettiva intuizione, si accostano anche (numerosi) elementi oggettivi che, complessivamente, espongono l’investitore ad affrontare un binomio che in questi ultimi anni risultava accantonato o, forse, volutamente, dimenticato.
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