Caro direttore,
nel leggere i commenti sulla complessa e tragica vicenda di Gaza ho la sensazione che si corra il rischio di una eccessiva semplificazione nei termini usati per descriverla. Con la pericolosa conseguenza di una costante “sloganizzazione” sui media e nell’opinione pubblica.
Partirei dal termine “terrorista” con cui viene ormai normalmente definita Hamas, una definizione a mio parere riduttiva. Non vi è dubbio che Hamas compia atti terroristici, come ha ferocemente dimostrato nel suo attacco a Israele, ma l’uso del terrorismo, purtroppo, viene utilizzato in quasi tutte le guerre, perfino dalle democrazie. Chi è nato prima della seconda guerra mondiale ricorderà il terrore provocato dai bombardamenti a tappeto alleati su diverse città italiane. Per quanto fossi piccolissimo, io mi ricordo di quelli su Milano, con “incidenti” come la distruzione della scuola di Gorla con 184 bambini uccisi. Per non parlare dei mitragliamenti dei civili lungo le strade di campagna, un rischio costante per chi era sfollato dalla città.
Hamas ha dimostrato ampiamente di considerare il terrorismo una sua “naturale” arma, accanto alla notevole forza di attacco militare vista in questi ultimi giorni, ma la sua vera natura è quella di una struttura fondamentalista islamica. Nella loro visione, la vita degli “infedeli” non ha valore, neppure quella dei bambini. Nei commenti si è spesso fatto riferimento all’antisemitismo dei nazisti, ma gli ebrei sono solo l’obiettivo più vicino e immediato. Il concetto nazista di “Untermenschen”, subumani, per i fondamentalisti islamici identifica tutti i non musulmani, da convertire con le buone o le cattive: Hamas tende a scegliere la violenza.
Gesù si chiede: “quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?”, una domanda che si fonda sulla libertà concessa all’uomo fin dall’origine, alla base del peccato originale. Per l’islam, almeno per quello fondamentalista, la fine sarà un mondo completamente musulmano. Personalmente, mi risulta difficile non collegarlo ai “mondi migliori” prospettati dalla pura razza del nazismo o dal futuro mondo perfetto del comunismo.
In questa prospettiva, l’antisemitismo rimane un aspetto importante, ma tuttavia solo un elemento, pur immediato, della strategia di Hamas, che ha come obiettivo tutto il mondo non musulmano. Infatti, in un altro Paese dove il fondamentalismo islamico è molto attivo, con Boko Haram e altri gruppi, cioè la Nigeria, oggetto degli attacchi sono i cristiani e le vittime si contano a migliaia. Anche la questione palestinese è solo una componente e la distruzione dello Stato di Israele comporta, più che la costituzione di uno Stato palestinese, quella di uno Stato islamico. Basti pensare alla ostilità di Hamas verso l’Autorità Nazionale Palestinese di Cisgiordania, tuttora sostanzialmente laica.
L’attacco a Israele ha messo in difficoltà gli Stati arabi confinanti, sia al loro interno che nella loro politica estera. Hamas è collegata alla Fratellanza musulmana, sostenuta principalmente da Qatar e Turchia, e ciò pone gravi problemi all’attuale regime egiziano, sorto a seguito di un colpo di Stato militare contro il precedente governo dei Fratelli musulmani. Gravi anche i problemi per la Giordania, che ha ormai una maggioranza di cittadini di origine palestinese e ospita già circa due milioni di profughi. L’attenzione dei commentatori si è focalizzata sull’Arabia Saudita e sul congelamento delle discussioni su una possibile instaurazione di rapporti diplomatici con Israele. A rischio è però anche un altro accordo, intermediato dalla Cina, siglato lo scorso marzo dai sauditi con il tradizionale avversario, l’Iran.
Può suonare strano che la sunnita Hamas venga sostenuta, e pesantemente, dallo sciita Iran, con l’appoggio del governo sciita siriano e il contributo militare degli sciiti di Hezbollah. Per l’Iran questa è una concreta opportunità di mettere in difficoltà gli avversari sunniti, in particolare sauditi e altre monarchie del Golfo, ponendoli di fronte alla scelta se sostenere i confratelli musulmani o continuare ad essere la longa manus dell’Occidente nella regione. Una scelta che può essere condivisa anche da chi non fa parte di organizzazioni fondamentaliste, ma che risulta sempre più insofferente a quelle che vengono considerate indebite intrusioni dell’Occidente.
In questo scenario, la non-soluzione della questione palestinese e il sostanziale abbandono da parte dei recenti governi israeliani dell’ipotesi “due popoli, due Stati” hanno gettato e continueranno a gettare benzina sul fuoco acceso dai fondamentalisti di Hamas.
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