Il mondo è pieno di quelli che una volta venivano chiamati pazzi scatenati, ma – visto che ufficialmente i pazzi che sono in giro non si chiamano più così – se fanno politica ci si potrebbe limitare a chiamarli demagoghi, arruffapopoli, qualunquisti, provocatori o con simili sinonimi, oppure li si fa ministri. Sta di fatto che tra i tanti personaggi che dimostrano queste spiccate caratteristiche ce n’è uno in Francia che dà da pensare, ovvero il locale ministro dell’interno Gerald Darmanin – nome che comunque suona già un po’ come D’Artagnan – da tempo auto-dichiaratosi aspirante presidente post-Macron e che ha quindi strategicamente deciso di battere la strada della demagogia pur di conquistare voti ed elettori.
Visto che in Francia sull’argomento migranti e nella difesa dei valori patriottici la più gettonata è la Le Pen, che con questi temi si porta dietro una bella fetta di elettorato, Darmanin – che nella sua carriera politica ha zigzagato tra vari movimenti post-gollisti, ma non ha ancora trovato una sua collocazione stabile – ha deciso di incalzarla sul suo stesso terreno, in una corsa a prendere misure coercitive sempre più forti ma anche a chi la spara più grossa. Darmanin è diventato famoso anche da noi per le sue reiterate provocazioni contro l’Italia dove vuole (e riesce) a ributtare i migranti entrati illegalmente in Francia, ma si è anche distinto per i gendarmi inviati in massa a presidiare la frontiera di Ventimiglia e per i droni spediti sulle Alpi Marittime a intercettare clandestini in transito.
Se in Italia un ministro come Salvini va a processo per aver bloccato lo sbarco di migranti da una nave, immaginatevi se le idee di Darmanin fossero sostenute e applicate negli stessi termini da qualche politico nostrano: il personaggio sarebbe oggetto di pubblico e quotidiano linciaggio con l’accusa diretta di fascismo e razzismo (e per tanti magistrati sarebbe una pacchia incriminarlo, pur di andare alla ribalta). Eppure da tempo Darmanin insiste ogni giorno sui media e nelle piazze su questi tasti e poco importa se molte volte le sue dichiarazioni hanno messo e mettono decisamente in difficoltà Macron: a lui servono visibilità ed applausi, il resto non conta.
Va anche detto che l’impressione è come a volte si tratti di falsi scontri ad uso e consumo dell’opinione pubblica: un copione pre-organizzato dove i ruoli diversi dei due attori transalpini servono comunque a cementare elettori di centro-destra dietro la vacillante figura del presidente che fa dire al suo ministro quello che direttamente lui non può (ma che a volte lascia intuire), permettendogli così poi di giocare la carta più moderata ed assumendo o mantenendo una veste più istituzionale. Resta il fatto che Darmanin mantiene il suo ruolo di ministro, nessuno lo allontana e quindi è evidentemente ben tollerato e protetto all’Eliseo.
L’ultima perla del Darmanin è stato affermare che la Francia, dopo le recenti uccisioni a firma di estremisti islamici, se ne frega delle leggi europee e che quindi è pronta a infrangerle, se sarà necessario, pur di espellere migranti potenziali terroristi, ma anche immigrati irregolari e richiedenti asilo quando questo venga respinto. Un decreto in corso di conversione in parlamento alzerebbe a 18 mesi i termini della carcerazione preventiva per richiedenti asilo senza documenti e immaginatevi il destino del magistrato se Darmanin incrociasse sulla sua strada una giudice Apostolico qualsiasi.
Eppure, tra una sparata e l’altra, Darmanin è intanto riuscito a rimanere in sella anche durante l’estate di quest’anno, caratterizzata dalle violenze, i tumulti e i saccheggi che hanno insanguinato la Francia per molti giorni e innumerevoli notti durante le quali è venuta a galla non solo la tensione repressa tra le diseredate masse di immigrati delle banlieues, ma anche come erano state insufficienti le misure concrete prese dell’antiterrorismo per prevenire il formarsi delle bande che hanno tenuto ostaggio i francesi durante le sommosse. C’è da chiedersi cosa succederà in Francia se mai Darmanin un giorno divenisse presidente della Repubblica, ma anche quanto sia (o meno) credibile lo stesso Macron che continua a tenerselo al fianco.
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