Si continua a discutere della liberazione degli ostaggi, ma per Israele questa potrebbe essere una questione almeno in parte subordinata: sono troppe le 1.500 vittime dell’attacco di Hamas. Anzi, le persone rapite potrebbero restare nelle mani dell’organizzazione terroristica palestinese anche a lungo, oltre la fine della guerra. Intanto Israele frena l’azione di terra a Gaza, annunciata in tv da Netanyahu, limitandosi a bombardare e fare incursioni mirate. Non si sa ancora cosa comporterà e quali saranno le conseguenze, temute soprattutto da Egitto e Giordania.
In Israele, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di diplomazia e politiche sociali di integrazione, si fa strada l’idea che i palestinesi della Striscia possano essere trasferiti nel Sinai, magari in cambio di soldi e aiuti agli egiziani. Allo stesso modo potrebbe essere svuotata perfino la Cisgiordania.
Netanyahu ha annunciato pubblicamente che l’offensiva si farà, intanto sono iniziate delle incursioni mirate di tank israeliani nel territorio di Gaza per stanare Hamas. L’azione di terra alla fine si limiterà a interventi di questo tipo o sarà più massiccia?
Quello che è certo è che Netanyahu ha detto in diretta televisiva alla nazione che l’invasione di terra ci sarà. Che cosa si intenda e quale sarà l’estensione dell’operazione, se cioè si tratterà di incursioni o di un’invasione in grande stile, è tutto da vedere. Ci sono fortissime pressioni internazionali, dagli Usa, dai Paesi arabi, affinché non ci sia nessuna azione di terra, che avrebbe un costo elevato in termini di vite umane su entrambi i fronti. Bisogna anche vedere qual è l’obiettivo cui si tende. Questo è il principale problema che gli Usa stanno avendo nella loro interlocuzione con Israele: definire l’obiettivo.
L’azione di terra non dovrebbe puntare soprattutto a neutralizzare o eliminare Hamas?
Bisogna vedere cosa si intende: un ridimensionamento di Hamas per togliere la sua capacità offensiva oppure eliminarla completamente dall’equazione e quindi non averla più al governo di Gaza? Quest’ultima soluzione aprirebbe tutto un altro fronte su chi gestirebbe Gaza in assenza di Hamas, che negli ultimi anni lì ha governato in maniera incontrastata.
Nel fronte palestinese c’è una opposizione all’azione di Hamas, almeno una parte di opinione pubblica che vuole differenziarsi dalle sue posizioni?
Se parliamo degli abitanti di Gaza bisogna tenere in considerazione che vivono sotto Hamas: esternare la loro opposizione è molto difficile, ancora di più in un momento in cui sono sotto le bombe, anche se sono una reazione a quello che Hamas ha fatto. Per ora la priorità della gente è salvarsi la pelle. Hamas quando ha preso il potere qualche anno fa ha fatto in modo di eliminare qualsiasi tipo di opposizione: ricordiamoci come sono andate le cose in quello che è stato un colpo di Stato in cui l’Autorità nazionale palestinese è stata completamente esautorata dalla Striscia di Gaza. La Posizione di Abbas (Abu Mazen, nda) capo dell’Anp, è molto chiara: ha condannato Hamas. E ci sono tanti Paesi arabi, inclusi quelli che mediano con Hamas, che non la vedono di buon occhio. Gli Emirati per cominciare, ma anche l’Egitto.
Proprio l’Egitto ha ribadito la sua contrarietà all’esodo dei palestinesi da Gaza, eppure se ci sarà l’azione di terra almeno in parte sarà inevitabile. Come si può scongiurare questo pericolo?
È uno dei motivi per cui soprattutto da parte dei Paesi confinanti c’è una forte opposizione all’azione di terra, perché si rendono conto che renderà ancora più difficili le condizioni già tragiche in cui si trova la popolazione di Gaza. Da un altro lato preoccupa il fatto che diversi esponenti politici israeliani che hanno anche ricoperto ruoli di responsabilità e alcuni studi preparati da think tank israeliani parlino di questa ipotesi di spostamento della popolazione di Gaza nel Sinai, in cambio magari di finanziamenti e aiuti all’Egitto. Questo significherebbe mettere una pietra tombale sulle aspirazioni palestinesi ad avere uno Stato, ma anche caricare il Medio Oriente di un grosso problema per il futuro, soprattutto se tra i palestinesi del Sinai dovessero nascere movimenti capaci di condurre azioni all’interno di Israele. A quel punto la responsabilità ricadrebbe sull’Egitto. Anche la Giordania si oppone, perché il passo successivo, se dovesse avere successo questo piano di sconfinamento della popolazione della Striscia, sarebbe di fare altrettanto anche con la Cisgiordania. Amman lo considererebbe una dichiarazione di guerra.
All’Onu, con il solito gioco dei veti incrociati, è stata bocciata una risoluzione Usa per portare aiuti umanitari a Gaza, nella quale però si chiedeva la sospensione dei raid israeliani. Significa che la divergenza di vedute fra Washington e Gerusalemme si sta ampliando?
C’è un asse molto forte tra loro, ma ognuno dei due Paesi ha i suoi interessi geopolitici. L’interesse principale degli Usa è di circoscrivere questo conflitto e di evitare un allargamento che coinvolga l’Iran. Ci sono poi le azioni di Hezbollah al confine con il Libano e gli attacchi alle basi militari americane in Iraq. Tutto questo sta mettendo in pericolo gli interessi degli Stati Uniti. Anche il fatto di essere fortemente associati a Israele offusca la loro immagine nel mondo arabo e nel mondo islamico in generale. E pure questo non è nel loro interesse. A fronte di un sostegno militare incondizionato di Israele non poteva che esserci un impegno anche minimo per alleviare le sofferenze della gente di Gaza.
Biden ha riproposto la soluzione dei due Stati: è veramente fattibile o viene ripresa giusto per non far vedere che mancano idee sul futuro dell’area?
Se fosse stata possibile l’avrebbero realizzata da tempo. È ostacolata da una serie di posizioni inconciliabili fra di loro: non si può parlare di due Stati con posizioni come quella di Hamas che vuole riprendersi tutta la Palestina o con Israele che continua a costruire colonie in Cisgiordania in quelli che sono codificati come territori occupati dal diritto internazionale. Sembra che nessuna delle due parti in conflitto voglia mettere in pratica questa soluzione. Hamas ha compiuto un’azione le cui ripercussioni rendono molto improbabile la disponibilità di Israele a realizzare uno Stato palestinese. Netanyahu, invece, con gli insediamenti di questi anni in Cisgiordania ha reso a Israele addirittura più difficile difendersi, impegnando tutto l’esercito in quel luogo.
I confini di questi due Stati poi, quali sarebbero? Quelli attuali con Gaza e la Cisgiordania ai palestinesi e il resto agli israeliani?
Al momento la realtà sul terreno è questa. Ma non è neanche così, perché Gaza da una parte è soggetta a embargo stretto e in Cisgiordania ci sono piccoli isolotti cosparsi di insediamenti israeliani. Per tenere i confini attuali occorrerebbe liberare Gaza dall’embargo e togliere gli insediamenti israeliani dalla Cisgiordania. Che è una cosa non da poco.
In merito agli ostaggi, nell’ultimo conteggio quantificati in 224, si è parlato della liberazione di un gruppo di 50 persone. Secondo qualcuno potrebbe essere imminente. Gli israeliani in caso di rilascio dei rapiti si sentirebbero ancora in diritto di invadere Gaza?
L’unico Paese che ha fatto qualcosa finora da questo punto di vista è stato l’Egitto e non il Qatar. Che una parte o tutti possano essere liberati per Israele è un elemento non dico marginale ma di importanza secondaria rispetto al fatto che ci sono state 1.500 vittime civili, soprattutto tra i giovani. Gli ostaggi potrebbero essere rilasciati, ma questo porterebbe al massimo a un cessate il fuoco: resterà aperto il conto delle vittime causate dall’attacco del 7 ottobre.
Israele, quindi, non è disposta a fare di tutto per liberarli? In modo molto cinico si potrebbe dire che è disposto a sacrificarli?
L’onta subita dal Paese comporta un bilancio molto pesante: distruzione di kibbutz e di intere famiglie. Un conto salatissimo che Israele vorrà far pagare ad Hamas. Non credo che 200 ostaggi facciano la differenza. Cinicamente potrebbero semplicemente aggiungersi al bilancio delle 1500 vittime. Hamas potrebbe liberarne un certo numero per ottenere il cessate il fuoco, ma sono sicuro che intendono utilizzarli per ottenere uno scambio con centinaia se non migliaia di prigionieri attualmente nelle prigioni israeliane. E non credo proprio che Israele in questo contesto possa farlo.
Meglio non farsi troppe illusioni su questa liberazione?
Secondo me sarà un dossier molto penoso che potrebbe addirittura durare anni. Potremmo vedere il conflitto esaurirsi, non fosse altro perché Israele anche dal punto di vista economico non può permettersi un’operazione che duri all’infinito: una mobilitazione generale come quella di adesso non credo sia sostenibile. La guerra potrebbe esaurirsi anche per le pressioni internazionali e gli ostaggi rimanere per mesi se non addirittura anni nelle mani di Hamas.
I segnali di un possibile allargamento del conflitto non mancano, lo scenario di una guerra che coinvolga altri soggetti sta diventando sempre più credibile?
Un allargamento del conflitto che coinvolga Paesi ed eserciti credo che sia molto difficile. Nessun Paese dell’area vuole andare contro Israele, che rimane una potenza nucleare, né contro gli Usa e l’Occidente intero. Non l’Iran e neanche altri Paesi arabi. Alcuni dei quali stavano portando a termine una normalizzazione dei rapporti con Israele. Uno di questi è l’Arabia Saudita, che non ha ancora abbandonato questa ipotesi. Quello che probabilmente accadrà è che ci saranno maggiori scaramucce con formazioni paramilitari come gli Hezbollah in Libano e gli Houthi nello Yemen che probabilmente, grazie alla tecnologia iraniana, tenteranno di inviare qualche missile fino in Israele. Ma rimarranno sempre degli attori non convenzionali. Quello che possiamo sicuramente aspettarci, invece, è una recrudescenza del terrorismo islamista.
Iran e Hamas si sono recati in visita a Mosca: anche la Russia diventa protagonista dello scenario?
La Russia si conferma una potenza con cui fare i conti. Nonostante l’isolamento voluto dall’Occidente e l’embargo, ha ancora più carte da giocare, più fronti in cui essere coinvolta. E il Medio Oriente è uno di questi da quando è stata coinvolta nella guerra civile in Siria, dove è stata l’attore principale, insieme a Iran e Hezbollah, per la sconfitta dell’Isis. Il rapporto con Hamas e l’Iran non è nuovo, l’Unione Sovietica aveva un rapporto consolidato con il Medio Oriente e le fazioni palestinesi. Adesso Mosca può giocare questa carta per rientrare nel gioco geopolitico. Se dovesse ottenere un rilascio degli ostaggi o un cessate il fuoco ha tutto da guadagnare. Guarda con interesse al Medio Oriente ma anche a Israele, che non ha aiutato l’Ucraina. Qualcuno ha insinuato il dubbio che con quello che è successo in Israele Mosca abbia cercato di distogliere l’attenzione dall’Ucraina. Vedremo se l’incontro con Iran e Hamas è un modo per buttare benzina sul fuoco o per far sentire il peso geopolitico della Russia.
(Paolo Rossetti)
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