La transazione fiscale rappresenta una particolare procedura “transattiva” tra Fisco e contribuente, instaurabile soltanto nell’ambito delle procedure concorsuali di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, che consente il pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario.
Il 15 luglio 2022 è entrato in vigore il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n.14/2019), che sostituisce la Legge fallimentare del 1942, a seguito di un lungo percorso normativo e dei numerosi rinvii imposti dalla pandemia, nonché dalla necessità di adattarsi ai principi della Direttiva europea 1023/2019. Si tratta di una riforma fondamentale per la salvaguardia del valore delle imprese, per un’efficiente tutela dei creditori e per il sistema economico nel suo complesso. In tale ambito, il trattamento dei crediti tributari e contributivi, soprattutto nell’attuale momento storico, riveste un’importanza accresciuta dalle difficoltà economiche delle imprese, che hanno determinato un aumento delle istanze di definizione concorsuale delle relative posizioni debitorie.
Poter invitare al “tavolo delle trattative” l’Erario e gli Enti previdenziali e assistenziali costituisce, senza dubbio, un notevole vantaggio per l’imprenditore e l’impresa in crisi. Infatti, è molto frequente che, a ricorrere a procedure concorsuali per la risoluzione della crisi, siano proprio soggetti fortemente – se non esclusivamente – indebitati nei confronti dell’Erario e degli Enti.
Se da un lato, dunque, il legislatore ha voluto agevolare quanto più possibile l’imprenditore in crisi anche nell’ottica della salvaguardia della continuità aziendale, da qualche anno ormai gli operatori del settore si interrogano sul perché tale istituto sia rimasto una prerogativa delle procedure giudiziali, ovvero ricorrendo al tribunale. L’aver precluso l’adozione dell’istituto della transazione fiscale nell’ambito degli strumenti stragiudiziali ha certamente depotenziato la portata degli stessi, finendo poi per limitarne largamente la scelta.
Anche nelle procedure giudiziali, per le quali è prevista l’adozione della transazione fiscale non mancano limitazioni al loro utilizzo. Basti pensare che nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti si sta affermando la tesi circa l’impossibilità di stipulare un accordo con il “monocreditore” soprattutto se quest’ultimo è proprio il Fisco. La limitazione si scontra con l’attuale situazione italiana, caratterizzata da società che necessitano, esclusivamente o quasi, di gestire l’insostenibile indebitamento con l’Erario e gli Enti previdenziali.
Dalla lettura della norma e secondo anche quanto indicato nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate 34E del 2020, la “convenienza” dovrebbe essere l’unica condizione oggetto di valutazione. Nonostante ciò, è stato possibile riscontrare nella prassi come in realtà la decisione degli Enti risulti invero fortemente influenzata da elementi quali la condotta assunta dal debitore negli anni precedenti la richiesta, l’origine del debito e le modalità della sua formazione e stratificazione nel tempo, il “sacrificio” richiesto agli Enti e quello proposto agli altri creditori, gli “sforzi” – anche in termini di nuova finanza – dell’imprenditore per la risoluzione della crisi, nonché il rapporto tra il credito originariamente vantato e quanto effettivamente offerto.
Senza poter generalizzare sul comportamento degli Enti nella valutazione delle proposte, ciò che è stato possibile riscontrare è che la “convenienza” economica non pare essere l’unico elemento oggetto di considerazione e che dunque “offrire un euro in più” rispetto a quanto ricaverebbero dall’alternativa liquidazione giudiziale non sarà certamente sufficiente per ottenere l’adesione degli Enti al risanamento.
Nonostante le “criticità” che ancora lo accompagnano, l’istituto della transazione fiscale è sicuramente uno strumento molto utile e l’apporto di nuove risorse finanziarie esterne è certamente ciò che fa pendere l’ago della bilancia verso l’accoglimento della proposta da parte degli Enti.
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