Negli studi per integrare finanza, economia e geopolitica chi scrive ha dato particolare attenzione al tema della “Intrawar Cooperation”, cioè alla cooperazione selettiva e temporanea tra parti che restano in conflitto. Molti esempi durante la Guerra fredda tra America e Unione sovietica. Ma quasi nessuno nel nuovo confronto bipolare globale tra America e Cina, iniziato nel 2013 a bassa intensità durante l’Amministrazione Obama e poi inaspritosi dal 2017 e ancor di più dal 2022.
Da qualche giorno si vedono i primi segnali concreti di una volontà di ambedue le potenze di aprire canali che regolino il conflitto. Sia in America, sia in Cina sono stati costituiti gruppi di lavoro, con un’agenda di incontri periodici, per l’analisi degli aspetti economici della divergenza, iniziativa proposta dal segretario al Tesoro Janet Yellen nel luglio scorso e ben accettata dalla parte cinese ora caratterizzata da un nuovo ministro dell’Economia. Il ministro degli Esteri Wang Yi ha concordato con Antony Blinken la visita di XI Jinping a San Francisco in occasione del vertice Apec di novembre, già invitato da Joe Biden, opportunità per fissare accordi selettivi bilaterali.
L’interesse della Cina è duplice: farsi riconoscere come potere simmetrico globale dall’America e limitare la frizione economica in un momento in cui Pechino ha difficoltà interne enormi sul piano finanziario. Quello dell’America è trovare una convergenza pur selettiva con Pechino per mettere un limite al disordine globale che sta impegnando le risorse militari e finanziarie statunitensi oltre la capacità.
La base concreta per un dialogo c’è. America e Cina sono le maggiori potenze globali. La prima ha assorbito l’Ue e la seconda la Russia, generando un’amerosfera e una sinosfera nel mondo. Pertanto hanno l’interesse comune a consolidare questa posizione, riducendone il costo. Tale interesse non provocherà la fine del conflitto tra i due, né la competizione per la conquista del Sud globale, né per quella relativa alla superiorità nello spazio extraterrestre. Ma porrà limiti e attiverà un “telefono rosso” per evitare crisi gravi. Pertanto la previsione è che continuerà la “deglobalizzazione conflittuale” ma questa troverà limiti tali da non provocare crisi interne nelle due potenze e nel mondo oltre la soglia di composizione.
Il linguaggio è già noto da mesi: dal decoupling al derisking. L’America a conduzione Biden manterrà l’obiettivo di depotenziare la Cina e Pechino quello di consolidare la sua posizione di attore globale, ma entro limiti che non destabilizzino ambedue. I dettagli relativi al contenimento della crisi in Medio Oriente, al raffreddamento del conflitto in Ucraina, alla limitazione delle sanzioni economiche, ecc., non sono ancora precisabili. Ma l’avvio di una possibile cooperazione intrabellica tra America e Cina suggerisce al settore finanziario di togliere probabilità al caso peggiore, pur non potendolo ancora escludere.
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