Un filo rosso collega l’Ucraina alla guerra, perché di questo si tratta, tra Israele e Hamas dopo il terribile attacco di tre settimane fa. Non stiamo parlando di teorie complottiste che legano improbabili burattinai occulti a tirare le fila di un gioco chiaro solo a pochi dietro le evidenze. I fatti sono davanti agli occhi di tutto il mondo. In entrambe le guerre la ragione, il principio di realtà, sembra scomparso. Nessuno intravede in che cosa possa consistere il futuro, che contenuti possa avere la pace.
In entrambe le guerre appare impossibile l’obiettivo finale previsto dallo schema della guerra totale, ossia la sconfitta assoluta del nemico. Se nel conflitto ucraino russo questo sembra ormai evidente, l’obiettivo di Hamas della cancellazione dello Stato di Israele appare una minaccia tanto più odiosa quanto più insensata e irrazionale, capace solo di diffondere un sentimento di inimicizia assoluto, ma impotente e isterico.
D’altronde, anche la liquidazione totale di Hamas, ricercata da Israele e ottenuta tramite un’invasione di Gaza, sembra, anche secondo osservatori americani, molto difficile se non impossibile da ottenere. Perché la sfida è ormai chiara. Come si può, nel caso di occupazione di un territorio “nemico”, trasformare una vittoria militare in una vittoria politica?
Gli Stati Uniti conoscono bene il problema: davanti hanno il caso dell’Iraq con la battaglia di Fallujia nel 2004 che durò ben 40 giorni, e poi dell’Afghanistan. Hanno vinto tutte le battaglie e perso le guerre, essendosi ritirati da Kabul in un modo che sembrava più una fuga, oppure risultando chiusi ancora oggi nei loro fortini in un Iraq che non li vuole.
I costi in termini di perdite militari e civili in un’azione di guerra in ambiente urbano sono enormi, lo dimostrano il caso dell’uso del fosforo a Falluja da parte degli americani per aver ragione degli insorti, la durata dei combattimenti. E la lezione, non si sa quanto imparata o meno, è solo una: mai intraprendere una guerra di questo tipo senza disporre di una idea precisa del “dopo”. Cioè senza un piano che solo la politica può disporre. Anche perché l’assedio, i bombardamenti aerei e gli stessi combattimenti avvengono in mondovisione, con le immagini delle distruzioni rimandate in rete in loop, e nessuno Stato può resistere a lungo a questa pressione mediatica. Ma Israele sa bene cosa significhi tenere sotto occupazione territori ostili.
Allo stato attuale delle cose, gli scenari che si delineano sono tre, con beneficio di approssimazione. Un cessate il fuoco a breve; un’escalation regionale; uno stato di guerra prolungato, caratterizzato da alterne fasi, in una sorta di stop and go.
Il primo caso, alla luce della gravità dell’aggressione di Hamas e della determinazione di Israele a farla finita con quel mortale nemico, sembra il più improbabile. Il secondo scenario è il più pericoloso, perché chiamerebbe in causa l’Iran, Hezbollah e tutto il mondo arabo. Un coinvolgimento esplosivo, che rischierebbe di allargarsi ulteriormente anche a causa dei pesantissimi costi economici per l’Europa dovuti all’uso certo dell’arma del ricatto petrolifero da parte dei Paesi OPEC (ossia rincari paurosi del greggio). Sarebbe la terza crisi economica, dopo il Covid e la guerra in Ucraina, a colpire il vecchio continente, per di più in tempi di recessione.
L’ultimo scenario sarebbe il più favorevole a Israele perché, allungando i tempi, forse significherebbe la liquidazione di Hamas e il rilancio dell’Autorità palestinese, creando lo spazio per un’alternativa politica.
Troppi sono i nessi, i rimandi, i fili, gli attori in gioco per esprimere qualche certezza. Se non una.
Tutti e tre gli scenari vedono sempre due vincitori, pronti a incassare i dividendi del caos. E cioè Cina e Russia. Giocatori abili a lucrare sul malcontento di quel mondo, un tempo “terzo”, che accusa ancora una volta gli Stati Uniti, Israele e tutto l’Occidente di difendere non l’ordine mondiale ma il loro interesse, facendo un uso partigiano del diritto internazionale.
In un’eventuale futura mediazione internazionale tra le parti, questa volta c’è da scommettere che Pechino e Mosca, e i loro alleati e amici regionali, giocheranno un ruolo fondamentale.
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