Bruno Bettelli è il fondatore di I-tech, nata nel 1996, come società di ingegneria di processo e oggi leader nel settore del machinery per la preparazione e distribuzione intra logistica di smalti e coloranti per la ceramica, la plastica, la carta, il cuoio e la pelle. Con 6 milioni di fatturato, il suo headquarter a Sassuolo ma una particolare predisposizione ai mercati esteri, l’azienda modenese è una tipica PMI italiana, estensione e espressione dell’idea e del carattere forte del suo presidente classe 1968.
Partiamo da Lei Sig Bettelli. Cosa significa per Lei fare impresa?
Significa offrire ai clienti non solo un prodotto ma un’idea di offerta che è tipica del nostro essere italiani: alta gamma e forte personalizzazione. Ciò significa che il nostro modo di essere imprenditori è quello di essere interpreti di una artigianalità industriale quasi esclusiva che io declino nelle “5 P”, i 5 pilastri su cui si fonda la vera PMI italiana; quei valori che hanno animato e reso possibile il boom economico degli anni ’50 che ha permesso lo sviluppo del nostro Paese dopo la distruzione della guerra e la diffusione del culto del Made in Italy in tutto il mondo.
Ci spieghi allora cosa rappresentano queste 5 P del suo fare impresa?
Certamente. La prima P è per la passione, che vuol dire trasporto e totale dedizione per tutto ciò che si fa, l’azienda è la nostra vita. La seconda è la perseveranza che è fondamentale perché per un piccolo imprenditore si tratta di un lavoro di grande impegno e sacrificio che presenta spesso ostacoli. La terza è la preparazione perché senza la conoscenza e la competenza non si va da nessuna parte. La formazione adeguata, unita all’umiltà di voler apprendere sul campo, è indispensabile oggi per far crescere la propria attività. Non c’è spazio per l’improvvisazione. La quarta P è per la precisione, sinonimo di accuratezza e qualità: una delle cifre dell’offerta italiana. La quinta, e ultima P, è la puntualità che si concretizza nel mantenere fede alla propria brand promising e ai temi di consegna del prodotto.
E come si fa a fare tutto questo?
Partiamo dall’idea che questo è il nostro DNA, quello per cui siamo da sempre riconosciuti nel mondo. Il punto però è che oggi diventa sempre più difficile rimanere fedeli a questa nostra natura anche perché le condizioni del contesto sono sempre più difficili e con questo mi riferisco sicuramente all’incertezza geopolitica internazionale ma anche alle tante problematiche tipicamente interne. Sono sempre meno le imprese a passare di padre in figlio e ad essere, gioco forza, vendute a (grandi) gruppi, ed è sempre più difficile trovare personale preparato da inserire nelle nostre aziende. Come se il passaggio generazionale fosse un problema non solo per la guida di un’azienda ma anche per il suo motore, vale a dire le persone, che sono il segreto del nostro successo.
Crede sia un processo irreversibile?
Assolutamente no. Altrimenti non farei l’imprenditore. Penso però che siano fenomeni da osservare attentamente perché sempre più frequenti. Credo che le grandi industrie abbiano purtroppo abbandonato la visione che ha finora contraddistinto il nostro modo di fare impresa e questo, a tendere, andrà a detrimento dell’offerta italiana e della reputazione che ci siamo costruiti nel tempo.
Torniamo a voi. Come operate nel concreto?
Credo che l’attuazione dei principi di cui dicevamo trovi conferma nei risultati che, con impegno e fatica, la nostra realtà ha raccolto e raccoglie sul mercato internazionale. Lavoriamo in un settore ad alta tecnologia e con il tempo siamo riusciti a differenziare la nostra offerta che ora è riconosciuta come super-customizzata, di alta qualità e fortissima nelle nicchie. Questo ci ha permesso di presidiare l’ampio mercato internazionale facendo concorrenza ai colossi stranieri e di entrare in nuovi settori, alcuni dei quali particolarmente esigenti. Lavoriamo con PWC e KPMG per la verifica della conformità dei bilanci e siano sottoposti a valutazioni dei criteri ESG e di sostenibilità dei processi adottati, richiesti dalle imprese capofila delle filiere in cui siamo inseriti. Lavorare nel settore della rifinizione delle pelli , ad esempio, significa lavorare per il luxury, l’arredo casa e l’automotive di alta gamma, vale a dire per i più prestigiosi brand che hanno standard qualitativi elevatissimi.
Veniamo ai giovani e al loro ruolo nelle aziende
In aziende come la mia è fondamentale poter disporre di giovani preparati e motivati perché da loro possono arrivare nuove idee. Da noi, recentemente, una giovane – che ha svolto la sua tesi di laurea proprio sulla nostra realtà imprenditoriale – è entrata a far parte del team sviluppando in modo organico una più strutturata attività di marketing e promozione che è ormai indispensabile se si intende aprirsi nuove strade e nuove opportunità di business. Stiamo già vedendo i primi risultati.
È difficile trovare giovani preparati ad entrare in aziende come la vostra?
Si molto. Per varie ragioni. Anzitutto perché sempre più spesso il titolo di studio non è sinonimo di preparazione. Il titolo di studio è importante, certo. Ma non è più sufficiente. Occorre quindi una attività di recruiting molto più approfondita e occorre poter disporre di un bacino di offerta più ampio a cui rivolgerci. In realtà, invece, qui nel Modenese, i neo-ingegneri, e in generale i profili tecnici, si orientano sull’automotive e un settore come quello del machinery, che è leader nel mondo, fatica a trovare candidati interessanti, drenati tutti dai grandi brand della Motor Valley.
Come ovviare a questo problema?
Le organizzazioni come FEDERMACCHINE, di cui sono presidente da luglio, possono fare molto in questo senso facendo azioni di promozione del settore presso le università, gli ITS, gli istituti tecnici, nelle aree a maggior concentrazione di imprese del comparto. E poi dobbiamo imparare a usare il linguaggio che usano i giovani. Una bella sfida, che mi sento di raccogliere non solo come imprenditore ma anche come presidente della federazione dei costruttori italiani di beni strumentali.
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