Il miliardario e filantropo George Soros è finito nuovamente al centro di pesanti critiche per alcune donazioni che avrebbe fatto negli ultimi anni ad associazioni e ong che supportano in diversi modi la causa palestinese. A parlarne è il Giornale che sottolinea anche come si tratti di un vero e proprio controsenso, dato che lo stesso miliardario fuggì alle deportazioni naziste in Ungheria ed oggi sostiene la causa antisemita per eccellenza, ovvero l’opposizione allo stato di Israele. Per queste donazioni, tra l’altro, Soros è stato anche recentemente imbeccato dal Media Research Center americano che gli ha chiesto, con una lettera, di interrompere le donazioni alle associazioni pro Palestina.
Soros e le donazioni alle associazioni pro Palestina
A scoprire il reticolo di donazioni fatte dal miliardario George Soros alle associazioni e alle ong pro Palestina, spiega ancora il Giornale, è stato il New York Times. Secondo il quotidiano americano, il miliardario avrebbe donato negli anni almeno 13,7 milioni di dollari a favore di Tides Centers, un gruppo che finanzia a sua volta a sua volta diverse organizzazioni politicamente impegnante su temi inerenti la società, l’immigrazione e la causa palestinese, ma in ottica prettamente anti israeliana.
La Tides finanziata da Soros, rileva il Giornale, sostiene ong come “Samidoun” o “Palestinian Prisoner Solidarity Network” che si battono per la liberazione degli attivisti filo-palestinesi arrestati in Israele o nei paesi occidentali con l’accusa di terrorismo. Similmente, sostiene anche l’Adalah Justice Project che il 7 ottobre dopo l’attacco di Hamas si è schierata a favore di quest’ultimo sui suoi profili social. Inoltre, Soros avrebbe anche sostenuto economicamente ong con Al Haq e Al Mezan, entrambe inserite in una black list del governo israeliano in quanto ritenute vicine ad organizzazioni terroristiche come il Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Dal conto suo, tuttavia, il miliardario ha negato il suo coinvolgimento nelle cause terroristiche palestinesi, rifiutandosi però (per ora) di interrompere i finanziamenti come richiesto dal Media Research Center.