Israele risponde all’attacco terroristico di Hamas, ma il suo intervento a Gaza per neutralizzare l’organizzazione terroristica palestinese ha riacceso l’antisemitismo nel mondo, facendo tornare d’attualità prese di posizione, manifestazioni e slogan che non sono mai scomparsi, ma che ora purtroppo riguadagnano prepotentemente la ribalta. A Parigi stelle di David sui muri, in Daghestan l’assalto a un aereo per dare la “caccia all’ebreo”, aggressioni e gesti d’odio negli Usa, pietre d’inciampo bruciate a Roma: tutto questo, spiega Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche in Italia, non fa altro che consolidare una pericolosa tendenza che in questi anni è andata aumentando e che ora sta esplodendo in occasione della nuova crisi mediorientale.
“Tutte le logiche funzionano in una direzione – osserva Di Segni -. Ci sono le foto di bambini sgozzati, crimini orrendi documentati in un video di 45 minuti mostrato a stampa estera e diplomatici e che per rispetto della dignità delle persone e delle famiglie non è stato divulgato. Ma tutto questo viene messo in dubbio. Gli orrori che Israele lamenta sono invenzioni, gli orrori che raccontano i palestinesi sono verità assolute”.
Ormai le segnalazioni arrivano da tutto il mondo: l’attacco di Hamas e tutto quello che ne consegue hanno risvegliato l’antisemitismo?
Assolutamente sì. In realtà era già molto esplicito: in questi ultimi anni c’è sempre stata una tendenza ad aumentare. Prima era nella sinistra, con una grande attenzione per la Shoah che però si accompagnava al boicottaggio di Israele; nella destra, nostalgica dei simboli del potere fascista, anche se poi Israele viene visto come Paese da rispettare; e in determinati ambienti della Chiesa, con teorie che riguardano pregiudizi antiebraici. Adesso è incanalato nel discorso dell’occupazione nazista da parte di Israele, per cui tutti gli ebrei del mondo sono responsabili di questo odio. Sì, l’antisemitismo si è accentuato unendo tante anime. Se fino all’altro giorno alcuni provavano a dire: “Non odio gli ebrei ma ce l’ho con Israele”, si è capito che adesso avercela con Israele a vari livelli, in modo distorto o strumentale, vuol dire in realtà andare alla caccia dell’ebreo, a prescindere dal conflitto palestinese, dai rapporti religiosi. È un progetto di sterminio.
Lei ha fatto un appello ai musulmani perché non cedano all’odio. Ma come si può invertire questa tendenza antisemita? Anche Israele e il suo Governo devono cambiare atteggiamento?
Tutto quello che riguarda le scelte del governo israeliano e di come articolare l’assetto del Paese è su un piano di dialettica democratica. Ci sono tante istanze all’interno di Israele per assicurare diritti ed equilibri che non riguardano solo la dialettica con la popolazione araba, ma anche tanti altri aspetti della vita della nazione. Ogni governo israeliano, però, è stato sotto la medesima minaccia di odio e terrorismo. È sbagliato correlare quello che è accaduto con le scelte dell’uno o dell’altro governo. Come si fa a dire che c’è un controllo abominevole israeliano se poi in questi anni tutta la Striscia di Gaza si è totalmente attrezzata e organizzata per diventare una macchina di odio, con strutture, esercito, armi, tecnologie, beni di ogni genere, finanziamenti? È responsabilità di Israele, che si è ritirato dalla Striscia nel 2005? Come si fa a dire che Israele controlla, se sono arrivati 5mila missili al giorno? Se succede tutto questo vuol dire che Israele non controlla bene oppure che non è il controllore.
Anche in Israele però c’è un dibattito molto acceso sulle responsabilità del governo. Come dobbiamo interpretarle allora?
È ovvio che ci siano delle responsabilità gravissime del governo, dell’esercito, dell’intelligence, di tutti gli analisti e di quelli che dovevano prendere delle decisioni. La domanda è se questo è il momento di metterli in stato di accusa.
Come vive questa situazione la comunità ebraica?
A Trastevere sono state bruciate due pietre d’inciampo. A 80 anni dalla deportazione di tutti gli ebrei in Italia, a partire dal 16 ottobre, è un atto grave. Simbolicamente vuol dire: “Veniamo a bruciarvi di nuovo tutti quanti”. Questo, abbinato a quello che succede nelle università, nelle scuole e alle manifestazioni con slogan veementi, violenti, pesanti, è chiaro che fa paura. Tutti però siamo convinti che la vita debba andare avanti, nessuno di noi si nasconde come un topo o si rintana. Continuiamo a tenere le scuole e le istituzioni aperte, anche se con una vigilanza e un’attenzione particolare. Facciamo, tuttavia, un appello ai musulmani che vivono in Italia: dubito che vogliano vedere Hamas nelle nostre città. E se davvero è così voglio, sentirlo chiaro e tondo. Non si può essere dalla parte di chi urla contro Israele e non essere in grado di riconoscere cosa vuol dire Hamas. Bisogna chiedersi cosa vuol dire Palestina libera: vuol dire riconoscere Israele e convivere, vuol dire pace o annientare Israele?
Avete dei rapporti con le comunità musulmane in Italia?
Alcune comunità musulmane sono assolutamente attente, ci sono vicine e non agitano nessuna bandiera di Hamas. Altre hanno assunto una posizione ambigua: “Ci dispiace per i civili torturati ma, poverini, i palestinesi sono sotto occupazione”. Facile accusare Israele, ma dal 2005 la Striscia di Gaza è libera perché ci siamo ritirati ed è totalmente sotto controllo palestinese. Confina con Egitto e Israele, ma quando si chiedono aiuti umanitari ci si rivolge solo a Israele, nel giorno in cui si difende da un orrore. A Israele si chiede di ritirarsi e di non fare nulla, agli altri non si chiede di smettere di lanciare i missili né di smettere di torturare, uccidere. Se davvero si ha a cuore la pace e il popolo palestinese ci si deve pensare prima, quando si mandano i soldi ad Hamas, quando si fanno entrare le armi nella Striscia, quando ci sono comportamenti dissonanti tra i vertici di Hamas che vivono negli alberghi di lusso e il popolo che vive rintanato nella povertà. Tutti questi sono atteggiamenti che non si vogliono capire e cogliere.
Ma è possibile una convivenza pacifica?
La convivenza è il sogno e l’obiettivo. Come ci si arriva quando c’è un popolo che vuole il disconoscimento dell’altro e l’annientamento? Quel popolo forse non parla ma ha una leadership che questo dice. E poi una volta che questa leadership è stata in qualche modo limitata, isolata, sradicata nella sua potenza bellica, quel popolo che fa il giorno dopo? Chi lo guida? Arafat non c’è più e aveva i suoi limiti, Abu Mazen no perché non era sostenuto da Hamas. La pace si fa quando un popolo è capace di esprimere una leadership e una sua posizione: oggi non c’è. Lo dico non perché non voglio fare la pace, ma perché la pace la si fa con chi la vuole.
Che cosa, oltre a questo, ostacola la pace?
Iran, Qatar, Cina, Russia, tutti questi Paesi che ruolo giocano? Chi comanda le dinamiche nella Striscia? Non Israele, ma questo gruppo di Paesi che ho menzionato. Quando si capirà cosa succede con questi Paesi si capirà cosa succede dopodomani a Gaza. Per il momento nella Striscia c’è un popolo oppresso dalla propria leadership. Da Gaza a Israele transitavano fino al 6 ottobre migliaia di lavoratori, centinaia di persone che ricevevano cure mediche negli ospedali israeliani, camion con merci. Perché questo non viene raccontato? Dietro Hamas c’è una organizzazione finanziaria, le migliori menti della finanza internazionale. Non sono quattro pazzi con il fucile che fanno le cose tra di loro: c’è, appunto, un’organizzazione, finanziata anche dalla Ue, dagli Usa, facendo arrivare i soldi apparentemente per motivi umanitari. Come si fa a non dire nulla rispetto al fatto che il comando centrale di Hamas sia sotto un ospedale a Gaza? Il mondo non dice nulla. Sotto il Bambin Gesù non c’è un quartiere militare. Non riusciamo a capire che la logica di Hamas corrisponde a un’organizzazione del terrore.
(Paolo Rossetti)
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