Sapete cos’è il patchinko? Un gioco d’azzardo giapponese, in cui palline metalliche vengono sparate in una macchina con lo scopo di farle finire in apposite buche. A frapporsi lungo il loro cammino, perni e ostacoli. In sé, innocuo. Ciò che inquieta sono le sale in cui viene giocato: rumorosissimi templi dell’alienazione collettiva. Sempre strapiene. E dove nessuno parla con gli altri. Occhi puntati solo sulle palline. Ossessivamente. Ipnoticamente.
Noi siamo nel patchinko inflazionistico. I dati di Eurostat e Istat confermano il trend dei prezzi: un calo netto, drastico. Addirittura a precipizio per il nostro Paese. Immediatamente, echi lontani divengono grida di piazza: cosa farà la Bce? Quando taglierà, stante il contributo dato a questo calo da una generale stagnazione delle economie?
I futures prezzano già 3 tagli per il 2024. Aumenteranno, state certi. Ora date un’occhiata al grafico. Ci mostra il dato delle vendite al dettaglio in Germania, di fatto l’economia benchmark dell’eurozona.
Il calo in termini reali a settembre è stato dello 0,8% su base mensile, questo dopo un arretramento (debitamente sottoposto a revisione) della lettura di agosto addirittura dell’1,1%. Non a caso, gli analisti si attendevano un +0,5%. Su base annua, un -4,6% dopo un -1,9% del mese precedente e contro attese del -3,4%. La variabile dieta forzata. Abbattere l’inflazione, mantenendo i salari stagnanti (Oddio la spirale!), impone semplicemente il taglio dei consumi. Con l’accetta. Dopo aver lasciato scientemente gonfiare i prezzi, definendone il trend “transitorio” fino all’area del 6%. Ecco il patchinko. Anzi, la faustiana sala patchinko in cui non ci rendiamo conto di essere tenuti in ostaggio. L’inflazione da Qe, fattore base da cui promanano tutti gli altri boost accessori (speculazione in testa), è ormai strumento di politica monetaria del Sistema. In cambio di ciclici programmi di stimolo da emergenza o recessione (il perverso concetto di helicopter o stimmy money), i cittadini accettano un new normal fatto di potere d’acquisto ridotto a variabile schiavistica per quantificare tagli e indebitamento. I primi necessari a normalizzare, il secondo a garantire profitti a chi eroga.
Date un’occhiata nei commenti. Quello che vedete è il grafico del trend aggiornato all’ultima chiusura dei futures novembre 2023 del succo d’arancia congelato. Già, quello reso iconico dai Fratelli Duke in Una poltrona per due. Ennesimo record frantumato. Addirittura 411 dollari. Un altro +10% intraday.
Parliamo di succo d’arancia. Pura speculazione da patchinko inflazionistico. Nessun cambiamento climatico, nessuna filiera lunga, nessuna criticità sulla supply chain può giustificare un rally simile. Ma serve tagliare i tassi. O il Sistema salta. Et voilà, cambia l’emergenza. Fuori l’inflazione, dentro la recessione. In mezzo, l’Hamas di turno. Tutt’intorno, il frastuono alienato del parco buoi chiuso nella sala patchinko globale.
Ora date un’occhiata a questi altri due grafici, propedeutici a un terzo che troverete più avanti. Quello principale.
Quest’anno, le sole spese per interessi sul debito Usa hanno superato il loro debito totale del 1980. Il quale nel terzo trimestre di quell’anno era pari a 908 miliardi. Le prime – nel medesimo periodo del 2023 – hanno già toccato 910 miliardi. Vuoi vedere che il problema dell’America è un Minsky moment che si cerca sempre più aggressivamente e disperatamente di negare e occultare, non fosse altro perché questo accomunerebbe la più grande economia liberale al mondo a un sistema pianificato di socialismo ibrido come la Cina?
Il secondo grafico parla molto chiaro, alla luce del momento geopolitico che il mondo sta vivendo almeno dal post-Covid il cosiddetto dividendo della pace non paga più. L’indebitamento strutturale richiede destabilizzazione. E caos. Perché solo una ruota da criceto di crisi geopolitiche cicliche con i loro addentellati economico-finanziari possono rendere sostenibile il trend. Non fosse altro, agli occhi di un mercato che ormai da troppi anni finge di non guardare in faccia la realtà. Non c’è più price discovery, né fair value nell’approccio agli assets e al loro valore. I mercati obbligazionari, poi, sono manipolati alla radice dal comodo “no bid” delle Banche centrali. Di fatto, se soltanto la Bank of Japan ammette candidamente di operare in base a una politica di controllo sulla curva dei rendimenti, tutti lo fanno. In maniera meno ortodossa e dichiarata. Lanciando cadenzati cicli espansivi, i cui addentellati emergenziali proseguono poi per mesi, vedi la logica dei reinvestimento titoli. O le deroghe ai programmi di Qt.
Bene, qual è però il vero volto del Male? Lo mostra appunto il grafico principale.
Stando a dati raccolti ed elaborati dalla non certo tacciabile illiberale Cnbc, l’economia degli Stati Uniti cresce meno rapidamente del suo debito. E quando si è sostanziato il sorpasso? Nel post-Lehman. Nel biennio horribilis 2010-2011, quello della crisi dei debiti sovrani europei. In realtà, nei mesi di incubazione del Qe perenne. Del Whatever it takes globale. Da allora, il cambio di paradigma. L’economia reale, i fondamentali macro sono solo variabili non vincolanti in un mondo che monetizza il debito e, di conseguenza, finanzia direttamente i deficit. Il Sistema si è dato regole nuove. E, paradosso dei paradossi, per giustificarsi, ricorre in maniera ossessiva al principio di politiche data-dependent da parte delle Banche centrali. Peccato che quei dati siano manipolati ex ante. E in nuce. Non esiste voce di componente o sotto-componente di indice che non subisca mediamente tre, quattro revisioni l’anno. Di fatto, cinque assi nel mezzo di carte con cui ci si presenta al tavolo verde. Per questo servono sempre più conflitti. Per questo serve il war dividend, adesso. Servono altre Gaza, tante Gaza. E nei prossimi mesi e anni, temo che ne servirà sempre di più. E di intensità maggiore.
D’altronde, lo smartphone a rate che non potete permettervi senza finanziamento, ha un costo. Accessorio. E diabolico.
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